Egregio Direttore,
lo sanno in pochi, ma Giuseppe Conte è un poeta. Proprio così. Ovviamente non mi riferisco al presidente del Consiglio, ma allo scrittore suo omonimo, nato a Imperia nel 1945. Perché parlare di lui nel giorno in cui festeggiamo le mamme? Perché nella sua ultima fatica, la raccolta intitolata Non finirò di scrivere sul mare, uscita lo scorso ottobre, tre poesie sono dedicate appunto alla madre del poeta.
Leggiamone una:
QUANDO NUOTAVI DA UN MOLO ALL’ALTRO MOLO
U l’è ma’ vive, u l’è ma’ esse nasciüi,
lo dici spesso, mamma, io ti ho sentita
tu pensi che la vita ti abbia tradita
e sembra a volte che tutto per te
sia rimpianto, malcontento, dolore,
male senza riscatto, terra senza un fiore.
Ma dimmi, che cosa volevi davvero
da noi tuoi figli, da tuo marito?
Ho fatto ingrandire e ti ho regalato
la foto di lui in divisa, giovane ufficiale
con l’immancabile sigaretta in mano
e quel raro sorriso altero, lontano
e di te che ridi come una bambina
ridi abbandonandoti, come di fronte
au ma’
quando nuotavi da un molo all’altro molo
del porto, ti ricordi? alla Marina.
Ricordati di quello, di quella gioia
e non dire più, ti prego,
“vostro padre non mi ha reso felice
e voi non siete come io vorrei”
è per lui e per te che siamo qui,
ci vedi, mio fratello e io, uniti,
in questa casa dove ritorniamo
da te come per il richiamo
di un’alta marea infinita
a dire grazie, ma’, grazie vita.
Una splendida lirica, che negli inserti dialettali gioca sui molteplici significati del termine ma’: ma’ come “male” (il primo verso, tradotto, suona così: “È male vivere, è male essere nati”); ma’ come “mare” (nella foto col padre, la madre rideva come una bambina, abbandonandosi come di fronte “al mare”); e finalmente ma’ come “mamma”. Nel lamento dell’anziana madre echeggia il dolore dell’uomo di tutti i tempi, la rivolta umana al dolore, così come venne espressa, tra i tanti, da Sofocle nel celebre coro dell’Edipo a Colono, oppure dal poeta elegiaco Teognide:
Bene sommo per chi sulla terra vive è non essere nato,
né i raggi vedere del sole abbagliante,
e, quando si è nati, al più presto varcare le soglie di Ade
e sotto gran massa di terra giacere.
Ma alla sentenziosità tragica delle parole materne, Giuseppe Conte, il poeta, contrappone il ringraziamento alla vita dell’ultimo verso, cui arriva per gradi proprio sfruttando le varie accezioni di ma’: male, mare e madre. È come se dicesse a sua madre: sì, è vero, la vita può sembrare tutta e solo “male senza riscatto, terra senza un fiore”, ma i fiori ci sono. Ci sono, non dimenticarli! Tuo marito, i momenti di gioia con lui, le nuotate nel mare “da un molo all’altro molo/del porto”, i tuoi figli, la loro unione, la loro gratitudine verso di te che li hai messi al mondo.
Alle donne è affidato un tesoro. Le madri ne sono le custodi. Questo tesoro è la vita, ma è anche la gioia di essere vivi. E credo che Giuseppe Conte, il poeta, dia a tutti un grande insegnamento, in tempi di cultura di morte e nichilismo diffuso.
Quindi, grazie, mamme! Non perdete mai la gioia del miracolo che dispensate al mondo.
Cordiali saluti
Emanuele Gavi