Ci risiamo: sfruttano ancora Liliana Segre, la testimone dell’Olocausto funzionale alle narrazioni (false) della sinistra

Egregio Direttore,

qualche mese fa Liliana Segre era stata coinvolta in una clamorosa bufala di Repubblica: sarebbe stata cancellata la storia dagli esami di maturità, e magari dall’intera scuola (ne avevo scritto qui). Ci ha creduto persino un intellettuale non certo schierato a sinistra come Marcello Veneziani (si veda qui).

Negli ultimi giorni questa signora di quasi novant’anni è stata nuovamente sfruttata – perché di sfruttamento a fini politici si tratta – dallo stesso quotidiano, che in molti chiamano giornale-partito (per intenderci, sarebbe Repubblica a suggerire la linea al Pd). Titolone del 25 ottobre: “La senatrice a vita riceve 200 messaggi online di insulti al giorno”. C’è di che indignarsi, senza dubbio, e di che preoccuparsi per la diffusione dell’antisemitismo in Italia. Senonché, come fa notare Francesco Borgonovo sulla Verità di ieri, la Segre stessa, in un’intervista alla Stampa, alla domanda del giornalista “Più di 200 messaggi di odio al giorno e non sentirli. Il segreto?”, dà quest’incredibile risposta: “Pensi che nemmeno lo sapevo, l’ho appreso anche io dai giornali”. Cosa??? Secondo Repubblica la Segre riceve 200 messaggi di insulti al giorno, e lei afferma di non averlo mai saputo prima di venirne informata da Repubblica? Forse la senatrice ha delegato i giornalisti di Rep a gestire la sua casella di posta elettronica o la sua pagina Facebook? No, pare proprio che la Segre sui social network non sia presente. Aggiunge infatti: “Forse basta non frequentare la Rete: mi dispiace per gli odiatori che non hanno di meglio da fare”. Esatto: basta non frequentare la Rete, e lei non la frequenta. E quindi non riceve nulla. Ma si presta alle battaglie politiche di Repubblica.

Il caso montato dal quotidiano è servito infatti, su proposta della stessa senatrice, a istituire una commissione straordinaria contro odio, razzismo e antisemitismo. È il partito dell’amore contro l’odio serpeggiante nel popolo italiano: sulla carta bellissimo, nella realtà puzza lontano un miglio di stato etico e repressione del dissenso. 98 senatori si sono legittimamente astenuti, ed è divampata la polemica politica, a partire dalle dichiarazioni della stessa Segre, che si è detta “amareggiata e fortemente sorpresa” perché la sua mozione non ha ottenuto l’unanimità. Ma ha aggiunto: “La mia proposta è etica e non politica”. In realtà la senatrice nei suoi interventi fa anche politica, come ho avuto modo di constatare di persona.

Martedì 9 ottobre 2018 ho infatti accompagnato i miei alunni di quinta a un incontro con Liliana Segre al Teatro “Carlo Felice” di Genova, dove la senatrice ha raccontato ai duemila studenti convenuti (più altri mille in collegamento video) gli orrori da lei sperimentati da bambina e adolescente (qui il filmato integrale dell’incontro). È stata una splendida testimonianza, e la Segre, quando si limita a essere ciò che è, ovvero una sopravvissuta ad Auschwitz, una testimone oculare, memoria vivente di una delle pagine più terribili dell’intera storia europea, è grande. Qualche problemino sorge quando il discorso si sposta dal passato all’attualità.

In apertura di conferenza la Segre dice che, arrivata a Genova, le hanno mostrato un disegno del ponte Morandi realizzato dai bambini delle elementari, e definisce straordinario il fatto che i bambini abbiano disegnato il ponte spezzato con un cuore al centro, il che a suo parere sarebbe un grande insegnamento per gli adulti. In realtà il logo “Genova nel cuore” è stato creato da Regione Liguria, che ne è proprietaria. I bambini l’hanno copiato, e sono dunque gli adulti che, caso strano nell’epoca di Greta Thunberg, insegnano ancora ai bambini. Non è mia intenzione fare le pulci a questa donna coraggiosa (e anziana), ma mi sembra un episodio indicativo del fatto che sia facile farle credere qualcosa che risulta in linea con le sue idee e inclinazioni.

Infatti, dopo aver accostato i negazionisti a “quelli che tolgono la storia come materia della maturità quest’anno” (una bella bordata al governo giallo-verde, peccato che fosse una balla), ha più volte paragonato la persecuzione nazista degli ebrei alla tragedia dei migranti che affondano sui barconi e muoiono senza che se ne conosca neppure il nome. Peccato che dal 2017 il numero delle morti in mare si sia ridotto drasticamente, e proprio grazie alla politica dei porti chiusi che la Segre evidentemente condanna, come ho riscontrato anch’io svolgendo quella piccola ricerca di cui, Direttore, si ricorderà.

Quando poi la senatrice paragona i migranti che oggi vogliono sbarcare in Italia a se stessa, adolescente respinta con la famiglia al confine con la Svizzera, fa di ogni erba un fascio, e per capirlo basterebbe ragionare un momento. La giovanissima Liliana, in fuga dalle persecuzioni razziali, fuggiva con i suoi familiari: gli unici a non essere partiti furono i suoi nonni, anziani e malati. Oggi vediamo tanti uomini “in fuga dalla guerra”, a quanto si sostiene, che arrivano in Italia da soli, cioè senza genitori, senza mogli, senza figli. Se davvero fuggissero dalla guerra, e non fossero invece dei migranti economici, non lascerebbero a casa i loro cari, a morire sotto le bombe. La vera scommessa sarebbe governare gli ingressi nel nostro paese, distinguendo rapidamente i veri profughi da chi approfitta dell’assenza di controlli (e la senatrice certo non paragonerà se stessa agli esponenti della mafia nigeriana, per dirne una).

Insomma, la testimonianza di Liliana Segre è stata toccante e metteva i brividi. Ma ha avuto anche delle cadute di tono, quando la senatrice si è lanciata in affondi polemici e politici, appunto, che non le competevano: era lì per raccontare la sua storia a dei giovani studenti, non per orientarli politicamente. Un testimone deve essere obiettivo e non divagare, altrimenti sminuisce la portata della sua testimonianza. Ed è un peccato perché, lo ripeto per l’ennesima volta, l’incontro con la Segre è stata un’esperienza fortissima per tutti i miei alunni, che sono rimasti colpiti, scossi, impressionati come forse in nessun’altra occasione. Ma piegare a logiche politiche, fossero anche le più nobili, la necessità imprescindibile di trasmettere la memoria di ciò che è stato, allineandosi alla retorica di chi vede ovunque nemici di tale memoria (la bufala dell’Esame di Stato), di chi denunciava l’onda nera montante in Italia (e abbiamo visto poi come è andata a finire, con il “dittatore” Salvini che è tornato a casa l’estate successiva), della falsa equivalenza destra uguale fascismo (e Churchill?), non ha fatto onore a una grande donna – lo dico sinceramente – e a una brava nonna, come ama presentarsi ai giovani, qual è Liliana Segre.

La quale a un certo punto passa addirittura dal piano della storia a quello metafisico. Raccontando la deportazione nei carri bestiame, ha detto: “I più fortunati, i più religiosi… pregavano, lodavano Dio anche in quella situazione. Fortunati! Pregavano e lodavano Dio che ci stava deportando”. Questa, spiace dirlo, è una vera e propria bestemmia. Dio non è Hitler, e Hitler non è Dio. Qui siamo addirittura oltre a quanto sosteneva Primo Levi, morto suicida: “C’è Auschwitz, dunque non può esserci Dio”. Io direi invece che Auschwitz non dimostra nulla sull’esistenza o sulla bontà di Dio. Casomai è un segno dell’esistenza del diavolo.

Una bestemmia non è mai giustificabile, chiunque la pronunci. Comprensibile sì, considerando l’atrocità dei fatti e la sofferenza che sicuramente generano ancora nel ricordo. Ma giustificabile no. La Segre ha sbagliato, e questo va detto, tanto più che l’ha fatto “da nonna” parlando a degli ideali nipoti. Tanto più che si è permessa di accusare un Dio in cui non crede: nello stesso incontro ha parlato apertamente del ruolo fondamentale che nella vita gioca il caso. E se esiste il caso, Dio non esiste.

Ma vorrei chiudere, caro Direttore, con alcuni dei profondi insegnamenti che, invece, Liliana Segre ci ha lasciato quel martedì mattina. Non posso comunicare la forza della testimonianza di una sopravvissuta ad Auschwitz: va ascoltata direttamente. Ma vorrei sottolineare il trasporto, la passione con cui la senatrice, rivolgendosi a una platea di giovani spesso apatici e chiusi in se stessi, ha parlato della bellezza della vita, degli affetti, della famiglia. Ci ha ricordato l’inutilità delle cose, perché solo le persone contano. E a questi ragazzi, sovente vittime di genitori immaturi, assenti o iperprotettivi, ha detto con entusiasmo che gli adolescenti non vanno coccolati o giustificati, perché sono uomini e donne che stanno sbocciando, sono forti, hanno una forza che non immaginano.

Sentirsi rivolgere da una donna della tempra della Segre, che ha superato quello che ha superato, questo vibrante invito a scoprire la propria forza interiore, e a manifestarla, non penso abbia lasciato indifferente nessuno dei giovani presenti. È un insegnamento – questo sì – di grande importanza, più che mai necessario oggi. Forse Repubblica non ci farà un titolo, ma spero che i miei studenti se ne ricorderanno, di fronte alle piccole e grandi sfide della vita.

Cordiali saluti

Emanuele Gavi