La poesia fotografa la realtà, anche quella che non si vede. O che non esiste

Egregio Direttore,

abbiamo bisogno della poesia. Di questi tempi più che mai. La poesia ha il potere di alleviare le pene, gli affanni, il male di vivere che sperimentiamo noi direttamente, o che ogni giorno incontriamo sulla nostra strada, negli altri. Come ci riesce? Grazie alla sua capacità di ricreare il mondo.

La poesia infatti è in grado di riprodurre la realtà, di fotografarla con la sua straordinaria capacità di sintesi. Leggiamo per esempio alcuni versi della celebre Pioggia nel pineto (1902 o 1903) di Gabriele d’Annunzio:

Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici
salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti
divini,
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti […]

È un’enumerazione di piante, e di ognuna d’Annunzio coglie l’essenza con pochi tratti. Bastano le sue tamerici, coperte dal salino che le “arde”, cioè le brucia, le dissecca, a ricreare l’atmosfera della pineta in cui il poeta ci accompagna, una pineta che si trova sulla costa, investita dai venti marini. La maestria di d’Annunzio ci mostra con grande evidenza il potere evocativo della parola: l’istantanea dei pini, “scagliosi ed irti”, risulta ben più pregnante di una semplice fotografia. Una fotografia potrebbe restituirci l’immagine di un pino a figura intera, o un dettaglio dell’albero. Nella coppia di aggettivi scelti dal poeta, invece, riconosciamo contemporaneamente i particolari e il pino nella sua interezza, con la sua corteccia a scaglie e gli aghi pungenti. È come se le parole distillassero l’essenza del pino, ciò che fa di un pino un pino, potremmo dire la sua “pinitudine”. È la grande capacità di sintesi che hanno i versi, le parole.

Alla sintesi altri poeti preferiscono l’analisi. Prendiamo un testo di soggetto analogo, Pioggia del poeta francese Francis Ponge. È la prima lirica del volume Il partito preso delle cose (1942), che raccoglie delle prose poetiche, potremmo definirle poesie in prosa, dedicate agli oggetti (ma non solo):

Pioggia

La pioggia, nel cortile dove la guardo cadere, scende con andature assai diverse. Al centro è un sipario sottile (o reticolato) discontinuo, una caduta implacabile ma relativamente lenta di gocce probabilmente molto lievi, un precipitare sempiterno senza vigore, una frazione intensa della meteora pura. A poca distanza dai muri di destra e di sinistra cadono con maggior rumore gocce piú pesanti, individuate. Qui sembrano della grandezza di un chicco di grano, lí di un pisello, altrove quasi di una biglia. Sui listelli di ferro, sui davanzali delle finestre, la pioggia corre orizzontalmente, mentre sulla faccia inferiore degli stessi ostacoli si sospende in rombi convessi. Seguendo l’interna superficie di una tettoia di zinco che lo sguardo sovrasta, cola in strato sottilissimo, marezzato dalle correnti variate a seconda delle impercettibili ondulazioni e sporgenze della copertura. Dalla grondaia attigua dove scorre con la contenzione di un ruscello infossato senza forte pendio, cade di colpo in un filo perfettamente verticale, grossolanamente intrecciato, fino al suolo dove si rompe e rimbalza in aghetti brillanti.
Ogni sua forma ha un andamento particolare; a ognuna corrisponde un rumore particolare. Il tutto vive con intensità come un meccanismo complicato, preciso quanto arrischiato, come un movimento a orologeria la cui molla è il peso di una data massa di vapore in precipitazione.
La suoneria a terra delle reti verticali, il gluglú delle grondaie, i minuscoli colpi di gong, si moltiplicano e risuonano assieme in un concerto senza monotonia, non senza delicatezza.
Quando la molla si è allentata, alcuni ingranaggi continuano a funzionare per un po’, sempre piú rallentati, poi tutto il meccanismo si ferma. Allora, se il sole riappare tutto si cancella rapidamente, evapora il brillante apparecchio: è piovuto.

In d’Annunzio la pioggia cadeva su una pineta nei pressi del mare, dunque in un ambiente naturale, qui scroscia in un cortile, lungo i muri, sui davanzali delle finestre, nei pluviali; là era trasfigurata in un concerto di strumenti musicali, qui è presente la metafora degli strumenti (per esempio i “minuscoli colpi di gong”), ma domina piuttosto l’immagine di un grandioso meccanismo, il “movimento a orologeria” di una macchina con i suoi ingranaggi: tipico della poesia di Ponge è lo scambio, e la sovrapposizione, tra ciò che è naturale e ciò che invece è culturale, prodotto dall’uomo. Ma la differenza principale tra le due liriche che trattano lo stesso soggetto è la tecnica adottata dal poeta: al contrario di d’Annunzio, che per ricreare la pioggia utilizza la sintesi, Ponge sceglie l’analisi, la descrizione minuziosa, ricca di dettagli fino a risultare iperrealistica.

In entrambi i casi, però, ricreare il mondo permette alla poesia di approfondirlo, di farcene cogliere aspetti che normalmente tralasciamo, che abbiamo dimenticato. È proprio l’esigenza descrittiva che si avverte nel testo di Ponge, con il suo accumulo di immagini e di particolari, a restituirci uno sguardo vergine su una scena apparentemente dimessa, umile, come quella della pioggia che cade in un cortile, e a renderla, contro ogni nostra aspettativa, uno spettacolo affascinante. Per usare una formula abusata, la poesia ci permette di guardare alle cose come se le vedessimo per la prima volta. Anche il cortile di una casa può diventare una scoperta.

Ma la poesia non ricrea, davanti agli occhi della nostra mente, solamente l’esteriorità delle cose. È in grado di fotografarne anche l’interiorità, il significato più profondo della realtà e della vita. Vi si cimenta per esempio Sandro Penna (1906-1977), quando scrive che:

La vita… è ricordarsi di un risveglio
triste in un treno all’alba: aver veduto
fuori la luce incerta: aver sentito
nel corpo rotto la malinconia
vergine e aspra dell’aria pungente.

Ma ricordarsi la liberazione
improvvisa è più dolce: a me vicino
un marinaio giovane: l’azzurro
e il bianco della sua divisa e fuori
un mare tutto fresco di colore.

Con quale immagine si potrebbe rappresentare la vita, così faticosa, così scomoda? Penna risponde con un ricordo, e ci propone, per fotografare l’essenza di questa vita, un risveglio in treno, all’alba, nell’aria fredda, la luce ancora incerta, il corpo indolenzito. Ma in questo mesto quadretto è in attesa una “liberazione/improvvisa”, che cancella la malinconia e la tristezza: vicino al poeta è seduto un bel marinaio, con una divisa dai colori vivaci, e che a sua volta rimanda (il marinaio, la divisa azzurra e bianca) alla realtà che balena dal finestrino, alla visione di un mare “tutto fresco di colore”: il colore irrompe nel bozzetto malinconico, e la poesia (la vita) si accende come fosse il quadro di un pittore impressionista.

Come avviene in quest’altra celebre lirica, così semplice, in apparenza, ma di una semplicità difficile, cioè studiata, ricercata con cura in un lavorio sul testo che non lascia spazio all’improvvisazione:

Il mare è tutto azzurro.
Il mare è tutto calmo.
Nel cuore è quasi un urlo
di gioia. E tutto è calmo.

Fotografia di un paesaggio ma anche dell’interiorità del poeta, il cui “urlo/di gioia” non spezza l’incanto di quel mare calmo, perché è l’urlo silenzioso del suo cuore colmo di gioia, il grido interiore di esultanza che da quella calma trae origine.

Dunque la poesia è una sorta di fotografia con le parole, e che usi lo zoom o il grandangolo ci restituisce la realtà nella sua essenza, affina il nostro sguardo spesso così distratto e superficiale, gli dona una profondità tale da farci penetrare nel significato stesso delle cose.

Ma la poesia può percorrere una strada diversa. Ci sono poeti che non si accontentano di questo mondo, e ne creano un altro: Dante, per esempio, che nella Divina Commedia ci porta con sé in un viaggio nell’aldilà.

A questo proposito vorrei proporre un esempio tratto dai Fiori del male (1857), l’opera con cui Charles Baudelaire, potremmo dire, inizia la poesia moderna, la nostra poesia. Baudelaire amava creare altri mondi. Del resto non disdegnava l’uso di droghe (ma non lo dica ai miei alunni, caro Direttore, perché la notizia potrebbe avere effetti deleteri). Leggiamo Invito al viaggio, una lirica che è stata messa in musica da Franco Battiato (qui è possibile ascoltare la sua versione). Vi si immagina un viaggio in Olanda, paese in cui però Baudelaire non era mai stato. Il poeta crea dunque un’Olanda immaginaria, di sogno, sfarzosa e languida:

Invito al viaggio

Mia piccola, sorella,
pensa quale dolcezza
andare a vivere laggiù insieme!
Amare liberamente,
amare e morire
nel paese che ti somiglia!
I soli bagnati
di quei cieli torbidi
hanno per il mio spirito l’incanto
tanto misterioso
dei tuoi occhi che brillano
traditori fra le lacrime.

Là tutto non è che ordine e beltà,
lusso calma e voluttà.

Di mobili lucenti,
levigati dagli anni,
sarebbe adorna la nostra stanza.
I più rari fiori
dai profumi misti
al vago aroma dell’ambra,
ricchi soffitti,
specchi profondi,
splendori orientali,
tutto lì parlerebbe
all’anima in segreto
la sua dolce lingua natale.

Là tutto non è che ordine e beltà,
lusso calma e voluttà.

Guarda su quei navigli
come dormono le navi
il cui spirito è vagabondo.
Per appagare ogni
tuo minimo desiderio
son giunti da tutto il mondo.
I soli al tramonto
rivestono i campi,
i canali e tutta la città
di giacinto e di oro.
In una calda luce
si addormenta il mondo.

Là tutto non è che ordine e beltà,
lusso calma e voluttà.

Alla semplicità amata da Penna si contrappone qui la passione per il lusso di Baudelaire. Ad accomunare i due poeti, però, è l’anelito alla pace, il desiderio di un mondo in cui a un brusco risveglio faccia seguito la scoperta del colore, o in cui sia possibile addormentarsi placidamente, perché tutto è “ordine e bellezza, lusso, calma e voluttà”, in cui i desideri vengono appagati, e l’anima si sente parlare nella sua lingua natale, come le capita di rado dalle nostre parti…

Insomma, la poesia fotografa la bellezza del mondo quando il mondo è bello. Oppure, come fa Baudelaire, crea un altro mondo di cui sentiamo il bisogno. In entrambi i casi, la poesia è quell’oasi di bellezza che ci è più che mai necessaria oggi, nei nostri giorni difficili.

Cordiali saluti

Emanuele Gavi

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