Una storia e un video per chi porta i suoi bambini al Gay Pride

Egregio Direttore,

chissà se i genitori che nei giorni scorsi hanno accompagnato i loro figli ai vari Gay Pride conoscono la storia di Desmond Napoles, uno dei “drag kid” o “baby trans” (ne ho scritto qui). Un sito ci informa che Desmond, a soli 10 anni, ha lanciato il primo “drag club” per bambini. Che imprenditore precoce! Del resto, già a due anni (due anni) «aveva dimostrato un’attitudine “drag”, quando indossava le scarpe col tacco della madre per girare in casa». Quindi qualunque maschietto abbia provato a camminare con le scarpe della mamma dimostra di avere certe inclinazioni (praticamente i tre quarti dei bambini).

Ma non c’è stato solo questo: «Desmond sostiene di essersi reso conto di essere gay in giovane età quando ha iniziato a sviluppare una cotta per i ragazzi». Davvero “in giovane età”, visto che si tratta di un bambino che, a quanto pare di capire, non aveva ancora dieci anni.

«È definitivamente arrivato sotto la luce dei riflettori nel 2015, quando fu immortalato in un video diventato virale mentre ballava assumendo pose suggestive, da diva, durante il Gay Pride di New York». Dato che Desmond è nato nel 2007, le “pose suggestive da diva” in favore delle telecamere le assumeva non so se a otto anni compiuti, o a sette anni “e mezzo”, come si dice a quell’età.

«Il suo profilo Instagram, “Desmond Is Amazing”, sta avendo un successo strepitoso, e ha oltre 15mila followers». Proprio così. Desmond viene osannato. Il pubblico impazzisce per lui: da non perdere questo video della trasmissione Good Morning America, che va in onda ogni mattina sulla rete statunitense Abc.

Il successo c’è. L’orgoglio dei genitori pure. Ma “orgoglio”, si sa, oggi è una parola d’ordine. Gay Pride significa appunto “orgoglio gay”. Il concetto ormai è connotato solo positivamente (“devi essere orgoglioso…”), e nella cultura dominante confligge con l’idea di pregiudizio. E pensare che uno dei capolavori della letteratura mondiale si intitola invece Orgoglio e pregiudizio (Pride and Prejudice, appunto), e condanna tanto il primo quanto il secondo, anzi dimostra che i due atteggiamenti vanno insieme come il gatto e la volpe…

Mi chiedo: c’è davvero da andare orgogliosi di un bambino truccato da donna, anzi truccato da uomo che si trucca da donna? È davvero libero questo bambino, libero di esprimere se stesso, come afferma il piccolo Desmond?

È davvero spontaneo? Curiosi i sottotitoli della trasmissione americana: prima compare «11-year-old kid on inspiring others to be themselves», e poi «Desmond shares what inspires him to express himself». Cioè: «Bambino di 11 anni su come ispirare gli altri a essere se stessi» e «Desmond racconta cosa lo ispira a essere se stesso». Dunque la stessa trasmissione che presenta il personaggio Desmond come testimonial dell’autodeterminazione ci informa poi che bisogna “ispirare” gli altri a essere se stessi, e che Desmond stesso è stato “ispirato”. Ognuno di noi è ispirato da coloro che ha intorno, dalla società, dalle mode, e i bambini sono ispirati dagli adulti, in primis dai loro genitori: si chiama “educazione”.

È spontaneo, Desmond, nei discorsi che fa, negli ammiccamenti con cui li accompagna? Sicuramente è spontaneo quando gli chiedono di rispondere a chi l’ha criticato: imbarazzato, istintivamente rivolge lo sguardo verso i genitori. In quel momento torna a essere quello che è: un bambino.

La domanda poi era fuorviante: da noi è stata critica Giorgia Meloni, che non ha condannato Desmond in sé, ovviamente, bensì chi usa i bambini «come spot per fare propaganda».

Sulla Verità di ieri Silvana De Mari, a proposito del fenomeno, osserva: «Vogliono fare “spontaneamente” la “drag kid”, esattamente come la monaca di Monza bambina “spontaneamente” voleva fare la madre badessa; “spontaneamente” i bambini palestinesi vogliono morire da kamikaze e “spontaneamente” i figli degli acrobati fanno gli acrobati».

Avevamo già ricordato, caro Direttore, l’articolo 643 del nostro Codice penale, che punisce il reato di “circonvenzione di incapace”. Ma al di là della legge (le leggi umane si cambiano: lo stiamo constatando in questi anni), mi chiedo se i genitori di oggi vogliano davvero questo tipo di successo per i loro bambini, questo genere di vita. Certo, apparentemente la felicità la raggiunge chi strappa tanti applausi. Applausi scroscianti, gridolini entusiastici: siamo ben oltre l’accettazione della diversità, citata dal ben “ispirato” Desmond.

Chissà cosa direbbe Ernest Hemingway, lo scrittore premio Nobel nonché icona della virilità, lui che fino a cinque anni era stato vestito da femmina (qui le foto). Non sappiamo. Ecco invece cosa dicono alcuni “ex gay” sul caso di Nemis, un altro “drag kid”. Greg Quinlan, presidente del Center For Garden State Families, su LifeSiteNews ha affermato: «Questo bambino è già diventato omosessuale dopo essere stato coinvolto in tutto ciò che è “gay” e i suoi genitori lo benedicono. Ma un bambino non può essere sacrificato per le aspirazioni dei genitori». E Stephen Black, anche lui “ex gay”, vittima di abusi sessuali durante l’infanzia, ora padre di famiglia: «Stiamo assistendo all’abbraccio mortale tra la comunità Lgbtq e la legittimazione della violenza minorile, coltivando, inoltre, vere e proprie patologie mentali nel promuovere l’identità “drag” nel bambino. Non serve un ingegnere missilistico per sapere che questo gioco alla fine porterà ai rapporti sessuali».

L’ideologia gender nasce con uno psicologo e chirurgo, John Money, e con un bambino, Bruce Reimer (qui la loro terribile storia).

Da piccolo Bruce venne trasformato da Money in Brenda. Quando lo scoprì si riappropriò faticosamente della sua identità maschile, divenendo David. Nel 2004, a 38 anni, si è sparato.

John Money è il fondatore della teoria del genere. Le sue idee stanno alla base delle rivendicazioni della galassia Lgbt e di tanto femminismo odierno. Come riporta Giulio Meotti, Money sposò pubblicamente la causa della pedofilia. Nel 1980 spiegò alla rivista Time: «Un’esperienza sessuale nell’infanzia, come essere partner di un parente o di una persona più grande, non ha necessariamente un influsso negativo sul bambino». A Paidika, una rivista olandese di pedofilia, dichiarò: «Se dovessi incontrare il caso di un ragazzo di dieci o dodici anni fortemente attratto da un uomo sui venti o trent’anni, e la relazione fosse assolutamente reciproca, il legame autenticamente e completamente reciproco, non lo definirei assolutamente patologico».

Quando si sostiene un’iniziativa, è bene conoscere chi la promuove, ma ancor più chi l’ha lanciata. Anzi, chi l’ha “ispirata”.

Cordiali saluti

Emanuele Gavi