Allarmista climatico pentito chiede scusa. Capito, Greta?

Egregio Direttore,

dopo gli ex gay e gli ex trans, finalmente siamo agli ex allarmisti del clima. Il castello di falsità costruito da media e sedicenti intellettuali scricchiola ogni giorno di più. Se fosse vero che omosessuali si nasce non esisterebbero gli ex omosessuali. Se fosse vero che non siamo il nostro corpo ma i nostri desideri, non esisterebbero i cosiddetti detransitioners. Se fossero stati reali gli allarmi di Paul Ehrlich e Al Gore, tanto per fare due esempi, oggi non avremmo più niente da mangiare e il polo Nord sarebbe scomparso da anni.

A smentire la narrazione del riscaldamento globale di origine antropica, per cui finiremo tutti arrosto perché produciamo troppa anidride carbonica, ora ci si mette anche chi quella narrazione ha contribuito a diffonderla a livello planetario. È da poco uscito negli Stati Uniti il libro Apocalypse Never, opera di Michael Shellenberger, attivista e saggista che via via è stato definito “guru dell’ambiente”, “guru del clima”, “sommo sacerdote” dell’ambientalismo umanista, e nel 2008 fu nominato “eroe dell’ambiente” da Time magazine. Come risulta evidente già dal titolo della sua ultima fatica, Shellenberger contraddice l’allarmismo ecocatastrofista che i potenti ci vogliono imporre come verità assoluta. E recentemente ha ritenuto fosse doveroso chiedere scusa a nome degli ambientalisti: “Sono un attivista del clima da 20 anni e un ambientalista da 30, ma come esperto di energia a cui è stato chiesto dal Congresso di fornire una testimonianza esperta obiettiva e invitato dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) per fare da esperto revisore del suo prossimo rapporto di valutazione, sento l’obbligo di scusarmi per come noi ambientalisti abbiamo fuorviato il pubblico”.

Shellenberger enuncia tutta una serie di verità che oggi suonano come bestemmie: l’uomo non sta causando nessuna estinzione di massa delle specie vegetali e animali, l’Amazzonia non è il polmone del pianeta, i disastri naturali ci sono sempre stati e i cambiamenti climatici non li hanno resi né più frequenti né più intensi, il numero di incendi non solo non è cresciuto ma si è ridotto dal 2003, le emissioni di anidride carbonica sono in calo nella maggior parte dei paesi ricchi e caleranno pure nei paesi poveri quando anch’essi si saranno sviluppati, la produzione di cibo registra eccedenze, non scarsità etc. etc. Tutte notizie già lette su testate non allineate alla narrazione radical chic, ma se lo dice il guru del clima, l’eroe dell’ambiente, il consulente dell’IPCC, il paladino dell’ecologicamente corretto… ci possiamo credere, no?

Non è il primo caso di pentimento in casa ambientalista. Patrick Moore fu tra i fondatori di Greenpeace nel 1971, ma ne uscì già a metà degli anni Ottanta. Autore del libro L’ambientalista ragionevole. Confessioni di un fuoriuscito da Greenpeace, Moore ha dichiarato che l’associazione è divenuta antiscientifica, antitecnologica, antiumana, spiegando: “L’idea che la natura sia buona e l’uomo cattivo è davvero stupida. Se davvero pensassimo che la natura sarebbe meglio senza l’uomo allora tanto varrebbe suicidarsi”.

Anche nell’IPCC, l’organismo dell’Onu che secondo il meteorologo col papillon Luca Mercalli sarebbe una sorta di sinedrio dei custodi della verità, ci sono state varie defezioni (R. Cascioli, Il clima che non ti aspetti, p. 5). Per esempio quella del fisico dell’atmosfera Richard Lindzen, uno degli autori del Terzo Rapporto sul clima, pubblicato dall’IPCC nel 2001. Lindzen è scettico su quello che definisce allarmismo climatico, e nel 2011 ha così spiegato le ragioni per cui tanti gridano al lupo al lupo (il grassetto è mio): “Gli interessi del movimento ambientalista di acquisire più potere, influenza e donazioni sono ragionevolmente chiari. Lo sono anche gli interessi dei burocrati, per i quali il controllo delle emissioni di CO2 è un sogno diventato realtà. Dopo tutto, la CO2 è un prodotto della stessa respirazione. I politici possono vedere possibilità di tassazioni che saranno ben accette perché necessarie per ‘salvare’ la Terra. Le nazioni hanno compreso come sfruttare questo problema al fine di ottenere vantaggi competitivi. Ma, ormai, le cose sono andate ben oltre. Il caso della Enron (una società energetica del Texas ora fallita), è in questo senso esemplificativo. Prima di disintegrarsi in uno spettacolo pirotecnico di manipolazione senza scrupoli, la Enron aveva fatto una delle più intense azioni di lobbying per Kyoto. Aveva sperato di diventare una società di negoziazione commerciale dei diritti di emissione di carbonio. Questa non era una piccola speranza. Questi diritti hanno probabilmente un valore di oltre un trilione di dollari, e le commissioni varranno molti miliardi. Gli hedge fund stanno attivamente esaminando la situazione, così è stato anche per Lehman Brothers prima della sua fine. Goldman Sachs ha fatto pressioni a lungo per il disegno di legge ‘cap and trade’, ed è ben posizionata per fare miliardi”.

Alcune note esplicative a quanto affermato da Lindzen. La Enron, fallita nel 2001, era una delle più importanti multinazionali statunitensi dell’energia: c’è chi sostiene che il Protocollo di Kyoto (1997) fu ideato proprio alla Enron, per tagliare le gambe all’industria del carbone e incrementare il ricorso al gas naturale, di cui l’azienda era uno dei maggiori produttori. Gli hedge fund sono fondi comuni speculativi, fondi di investimento caratterizzati da una gestione piuttosto rischiosa di capitali privati. Il sistema “cap and trade” fissa un tetto massimo al livello totale delle emissioni, e all’interno di tale limite consente ai partecipanti di acquistare e vendere quote secondo le loro necessità. Insomma, dietro le treccine di Greta si nascondono soldi a palate.

Non dimentichiamo poi i ripetuti appelli lanciati da scienziati coraggiosi contro la teoria del riscaldamento globale. Oltre novanta studiosi italiani, tra cui Franco Battaglia, Franco Prodi (fratello di Romano), Antonino Zichichi, Enzo Pennetta, hanno firmato una petizione nel giugno del 2019. Pochi mesi dopo, mentre da noi il ministro dell’Istruzione Fioramonti incoraggiava gli studenti a saltare la scuola nel nome di Greta, ben cinquecento scienziati di tutto il mondo, tra cui lo stesso Lindzen, hanno scritto al segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, una lettera contro l’allarmismo climatico.

All’opposto abbiamo personalità che si sono spese per diffondere il panico con previsioni sempre puntualmente smentite. Caro Direttore, prima citavo Paul Ehrlich e Al Gore.

Ehrlich divenne famoso con il saggio La bomba demografica, un best seller del 1968 che vendette milioni di copie e, insieme ad altri libri dell’epoca, creò un clima di allarmismo di cui ci si può fare un’idea guardando gli apocalittici film di fantascienza degli anni Settanta, in particolare 2022: i sopravvissuti. Secondo Ehrlich, centinaia di milioni di persone avrebbero dovuto essere ridotte alla fame già negli anni Settanta, e l’Inghilterra avrebbe cessato di esistere entro il 2000. Ora, non solo l’Inghilterra non è scomparsa, ma recentemente ha fatto molto parlare di sé. E nell’ultimo mezzo secolo, a fronte della crescita della popolazione mondiale, più che raddoppiata (da 3,5 miliardi nel 1968 ai 7,7 miliardi attuali), il numero di coloro che soffrono la fame si è ridotto notevolmente: nel 1970 vivevano in condizioni di estrema povertà 2,2 miliardi di persone, oggi sono meno di un terzo (705 milioni). Una cifra comunque spaventosa, certo, ma in termini relativi il progresso è ancor più evidente: sul totale della popolazione, la percentuale di chi non ha mezzi di sostentamento è crollata, passando dal 60,1% del 1970 al 9,6% del 2015. Detto in altri termini, nella storia dell’uomo il tasso globale di povertà non è mai stato così basso come oggi. Insomma, Ehrlich è divenuto ricco e famoso terrorizzando il mondo con previsioni che alla prova dei fatti si sono rivelate clamorosamente errate. E nonostante ciò gli sono stati conferiti numerosi riconoscimenti e viene ancora invitato a tenere conferenze in giro per il mondo (persino in Vaticano).

Non parliamo poi di Al Gore. Vicepresidente degli Stati Uniti sotto Bill Clinton, nel 2007 gli fu conferito il Nobel per la pace proprio insieme all’IPCC. La motivazione del premio ricordava “gli sforzi per costruire e diffondere una conoscenza maggiore sui cambiamenti climatici provocati dall’uomo”. Nello stesso anno il suo documentario Una scomoda verità fu premiato con l’Oscar. Fosse venuto in Italia, Gore avrebbe vinto anche Sanremo e il premio Strega. Oggi va ricordato perché sosteneva che entro il 2013 i ghiacci del Polo Nord si sarebbero sciolti completamente. Sette anni dopo il Polo Nord è ancora al suo posto. L’Oscar delle fake news, il Nobel per la diffusione della paura, che a dire il vero è il contrario della pace.

Dietro a tutta questa propaganda si nascondono interessi colossali: fiumi di denaro e giochi di potere, come spiegava il professor Lindzen. Ma c’è un’altra questione, che Shellenberger solleva. L’ambientalismo è diventato una religione: “la religione laica dominante dell’élite istruita e dell’alta borghesia nella maggior parte dei paesi sviluppati, che offre alle persone uno scopo: salvare il mondo da qualche disastro ambientale o cambiamento climatico. Fornisce alle persone una storia che li interpreta come eroi”. Una religione “apocalittica, distruttiva e autolesionista”.

Shellenberger ha ragione: il catastrofismo climatico è una nuova religione, con i suoi dogmi e la sua casta sacerdotale (dai membri dell’IPCC a Al Gore, da Greta Thunberg a Luca Mercalli…). E chi magari ha abbandonato il cristianesimo perché si sente una persona razionale, poi cade in queste superstizioni moderne che sono figlie del positivismo ottocentesco. È la scienza vissuta come surrogato della fede: lo scientismo. Ma la scienza non è portatrice di verità incontrovertibili. Lo spiega il filosofo Stefano Fontana: “Se esaminiamo le moderne teorie sul sapere scientifico, tutte ci dicono che la scienza è un sapere ipotetico, che si fonda non su conoscenze certe ma su ipotesi di lavoro”. La scienza non ha verità da rivelare, ma formula teorie che possono essere confutate man mano che si procede sul cammino della conoscenza, insegnava Popper.

Eppure c’è ancora chi definisce il riscaldamento climatico come un “fenomeno ambientale mai messo in dubbio dalla scienza e di cui è peraltro chiara e comprovata la responsabilità antropica”. Mai messo in dubbio dalla scienza? Falso sul piano della realtà dei fatti, come si è visto, ma anche insostenibile dal punto di vista concettuale: le tesi degli scienziati di oggi, anche esistesse un consenso scientifico che non esiste, potrebbero essere smentite dagli scienziati di domani.

Caro Direttore, speriamo che la nuova forma di attivismo di Shellenberger apra gli occhi a coloro che in buona fede cercano di capire sempre meglio il mondo in cui vivono. La propaganda è forte, ma mattone dopo mattone la costruzione crolla.

E dopo gli ex gay, gli ex trans, gli ex allarmisti del clima, adesso mancano solo gli ex migranti: migrati, pentiti e tornati in patria.

Cordiali saluti

Emanuele Gavi