Egregio Direttore,
chi non vuole sottoporre sé stesso e i propri figli alla sperimentazione denominata “vaccini anti Covid” viene ormai minacciato e insultato ogni giorno, da giornalisti, intellettuali e rappresentanti delle istituzioni. Per Burioni quelli che ormai potremmo chiamare gli obiettori di coscienza del vaccino vanno messi “agli arresti domiciliari, chiusi in casa come dei sorci”, per il filosofo nichilista Galimberti bisogna ricoverarli a forza in psichiatria, mentre secondo il premier Draghi vogliono la morte per sé e per gli altri. Sono dichiarazioni gravissime, tanto più perché rilasciate da personaggi pubblici e diffuse in modo capillare dai grandi media compiacenti. È chiaro che questi signori, impresentabili ma in questo mondo alla rovescia presentati come fededegni, vogliono alzare il livello dello scontro, creare conflitti sempre più accesi tra i cittadini. E ci stanno riuscendo.
Un caso di aggressività verbale istituzionalizzata è la campagna pro vaccini lanciata dalla Regione Liguria, che ha tappezzato strade e piazze di manifesti che insultano chi non vuole vaccinarsi. Per convincere gli scettici, ha detto qualcuno. Ma per convincere gli scettici servono dei manifesti che spieghino i vantaggi dei farmaci definiti come vaccini, che rispondano alle domande, ai dubbi dei cittadini. Invece la comunicazione scelta dal governo regionale di Giovanni Toti è tesa solo a stigmatizzare la libera scelta di chi non si adegua, dandogli del pazzo (“ma sei fuori?”), dello scemo (“ma sei nescio?”) o insultandolo punto e basta (“ma sei xxx?”). Come se il ricorso al dialetto autorizzasse l’uso delle parolacce. Per indicare quella parola lì senza pronunciarla, mia nonna buonanima diceva “figlio di Abele”. Si vede che la Regione Liguria ritiene lecito scrivere le parolacce sui manifesti, perché le leggano tutti, anche i bambini. Un altro segnale del degrado in cui siamo immersi.
Caro Direttore, ieri gli insultati e i minacciati sono scesi in piazza, anche a Genova, in nome della libertà che ci stanno togliendo, e tra loro c’ero anch’io. I giornali ci hanno dipinto come populisti, facinorosi, estremisti, hanno insinuato che quelle di ieri siano state manifestazioni di nazisti. Niente di più falso. Erano presenti persone di tutte le età, famiglie, bambini. Tutte persone che amano la libertà. Fascista e nazista è colui che vuole impedire agli altri l’esercizio della libertà, non chi lo rivendica. Fascisti saranno semmai quelli che vogliono rinchiudere chiunque non la pensi come loro.
Sì, è vero, ho visto fare dei gestacci verso il palazzo della Regione, all’indirizzo del governatore Giovanni Toti. Ma ho anche sentito gridare “Libertà! Libertà!”. E per una volta questo grido non è risuonato invano, per rivendicare capricci e velleità di vittimisti.
Io non ho fatto gestacci: non è mia abitudine. E poi in mano avevo il rosario, e come sono arrivato in piazza mi hanno avvicinato altre persone che lo avevano portato anch’esse. Ed è anche a questo che servono le piazze: a conoscersi, a scambiarsi idee e numeri di telefono, a fare fronte comune.
Ieri dalle piazze d’Italia si è alzata forte la voce di decine di migliaia di cittadini: non tutti educati a Oxford, o al Bilderberg. I giornali filogovernativi hanno ovviamente minimizzato i numeri, nel senso che li hanno falsificati al ribasso. Ma non hanno potuto tacere, sorvolare, far finta di niente. Il chiasso l’abbiamo fatto. E questo è già un risultato: da oggi chi vuole opporsi sa di non essere solo, di non essere l’unico, di non essere “nescio” o “xxx”. E comunque, meglio figli di Abele che di Caino.
Cordiali saluti
Emanuele Gavi