Il triangolo della letteratura

Egregio Direttore,

per molti studenti si apre la settimana degli esami di riparazione. Hai voglia a farli sudare sui libri, ad agosto! D’altro canto, se un ragazzo è rimasto indietro, l’estate è il periodo adatto per rimettersi in pari. Però: passi per latino, greco e matematica, che sono difficili; passi per le lingue straniere, che possono risultare ostiche; passi per economia e le altre discipline più tecniche… ma perché ridursi a studiare in vacanza, col caldo, la letteratura? Cioè, dico, la let-te-ra-tu-ra! La cosa più bella che si possa incontrare a scuola. La poesia, l’arte della parola, la fantasia, il genio! Io credo che gli studenti che si fanno rimandare di letteratura non abbiano compreso davvero che cos’è. A cosa serve. Vale la pena di chiederselo: perché studiare letteratura merita attenzione, impegno, sacrificio? Perché può essere un’attività appassionante?

Per rispondere vediamo prima quali sono i principali argomenti che caratterizzano le opere letterarie, che le distinguono da altri tipi di testo. Ciò che in fondo differenzia I promessi sposi dai romanzetti gialli che si vendono in edicola (tralasciamo ora il discorso sullo stile).

Le tematiche della letteratura a mio avviso sono essenzialmente tre. Per questo parlo ai miei alunni del triangolo della letteratura. Immaginiamo di tracciare un triangolo (io lo disegno alla lavagna). Per ognuno dei vertici scriviamo uno dei seguenti temi: Dio (il triangolo calza a pennello), la morte, l’amore.

Difficilmente un’opera viene definita letteratura se non affronta questi temi. Pensiamo a Dio. La letteratura italiana comincia con una preghiera al Padreterno: il Cantico di Frate Sole, scritto nel 1224 da san Francesco d’Assisi (i santi, come abbiamo avuto modo di vedere, caro Direttore, li troviamo nei posti più impensati). San Francesco è stato definito il più santo degli italiani, ma anche il più italiano dei santi: è lui che, oltre al presepe, ha inventato la letteratura italiana.

Sono molte le opere letterarie animate, è proprio il caso di dirlo, dalla forza di una fede autentica: la Divina Commedia, la Gerusalemme liberata, I promessi sposi… Ma non parlano di Dio solo opere dichiaratamente religiose. Il problema di Dio, la domanda sulla Sua esistenza, sulla Sua natura, si trova facilmente anche in opere di autori non credenti e materialisti. Pensiamo a Leopardi. Ateo e nichilista. Eppure nei Canti assistiamo a un colloquio ininterrotto del poeta con la natura, un’entità superiore che di volta in volta Leopardi celebra, biasima, condanna. Ora, chi è veramente ateo non instaura alcun dialogo di questo genere: per lui non esiste alcun tu possibile. Già questo dovrebbe insospettirci. Un ateo non si appella a entità sovrumane.

Che dietro il termine “natura” si nasconda Dio? La conferma possiamo trovarla in un testo poco conosciuto, l’abbozzo intitolato “Ad Arimane”, il progetto di una poesia (che Leopardi poi non scriverà) dedicata all’“autor del mondo”, al Creatore, che Leopardi definisce “arcana malvagità”. In esso possiamo leggere (il grassetto è mio):

“I selvaggi e le tribù primitive, sotto diverse forme, non riconoscono che te. Ma i popoli civili ec. te con diversi nomi il volgo appella Fato, Natura e Dio”.

Dio, scrive Leopardi, la gente lo chiama anche Fato o, appunto, Natura. Come fa lui stesso? Certo, per Leopardi Dio non esiste e se esistesse sarebbe appunto Arimane, un dio malvagio e crudele. Ma proprio per questo anche Leopardi è un autore “religioso”, non nel senso di uomo di fede, ma perché è indubitabilmente homo religiosus in senso antropologico, e come tale si pone il problema di Dio, si rivolge continuamente alla “natura” che governa ogni cosa.

Prendiamo ora in esame il secondo tema: la morte. Senza la morte non esisterebbe l’eroismo. Dunque non esisterebbero neppure i grandi capolavori dell’epica, da Iliade e Odissea fino a Moby Dick e al Signore degli Anelli. La Divina Commedia è stata definita un’epica dell’anima: l’odissea nello spazio dell’aldilà, il viaggio che attende le nostre anime dopo la morte. Ma tutta la poesia ci parla della morte, perché senza la morte non sarebbe possibile la poesia stessa, come ha spiegato con grande semplicità Silvana De Mari. Pensiamo al sentimento della caducità di tutte le cose, che accomuna poeti lontani nel tempo come l’autore del Qohelet, Petrarca, Ariosto, Leopardi… Un altro scrittore ateo e materialista, Foscolo, non fa che rimuginare sulle tombe, sul valore della sepoltura: se la morte ha l’ultima parola, allora come sopravvivere in qualche modo? Lo potremo fare, risponde Foscolo, grazie alle “urne confortate di pianto”, ai ricordi e alle preghiere che il nostro sepolcro susciterà nei cari che sono rimasti in vita, nei nostri discendenti. In loro continueremo a vivere, se una tomba darà testimonianza del nostro passaggio su questa terra.

Dobbiamo dire qualcosa dell’amore? Lancillotto e Ginevra, Paolo e Francesca, Romeo e Giulietta, Fedez e la Ferragni… Tutta la grande letteratura, o quella che aspira a essere tale, canta l’amore, il sentimento che tocca tutti nel profondo, nel cuore (noi genovesi aggiungeremmo: nel portafoglio).

Ma perché i temi della letteratura sono questi e non altri? Beh, perché dietro di essi si celano le domande più profonde dell’essere umano: “da dove veniamo?” (Dio), “dove andiamo?” (la morte), “chi siamo?”, o per meglio dire “perché esistiamo?” (siamo esseri umani: siamo fatti per amare ed essere amati).

Ecco allora che la letteratura perde quella patina di polvere che sembrava coprirla, quell’apparente astrattezza: è invece qualcosa di affascinante, persino di concreto, perché mette ciascuno di noi di fronte ai quesiti fondamentali dell’esistenza. E quindi non può che farci crescere, aiutarci a diventare più adulti, arricchirci con la profondità dei suoi temi, dei suoi spunti di riflessione. Ci sono libri che ti cambiano. Se lo capisco, l’anno prossimo la studio un po’ meglio, la letteratura, no?

Cordiali saluti

Emanuele Gavi

IL TRIANGOLO DELLA LETTERATURA: GUARDA IL VIDEO