Egregio Direttore,
dopo il conferimento a Bob Dylan del premio Nobel per la Letteratura 2016, mi sembrava doveroso lanciare la candidatura di Pamela Anderson al Nobel per la Fisica (o per il Fisico, ma, siccome è donna, Fisica suona boldrinianamente più corretto). Poi è stato proposto il Nobel per la Pace a Greta Thunberg, la giovanissima ambientalista svedese, e ho capito che la Pamelona in costumino rosso non avrebbe avuto nessuna chance: pochi ne sono consapevoli, ma fu proprio lei, negli anni Novanta, a costituire uno dei principali fattori del surriscaldamento globale. Bastava sintonizzare il televisore su Baywatch e la temperatura del salotto saliva anche di 5 o 6 gradi Celsius. Comunque io Baywatch non lo guardavo, e alle prorompenti signorine insaccate di rosso preferivo La signora in giallo.
Ma cos’avrà poi di così speciale Greta Thunberg? Ha solo 16 anni ed è già contraria al cambiamento climatico? Sai che notizia! Tutti i miei studenti sono contrari al cambiamento climatico, e hanno 16 anni, 15 anni, anche 14 anni. Credo che se insegnassi alle elementari, avrei classi intere di baby attivisti contro l’aumento delle temperature. La notizia sarebbe trovare un minorenne che non ne sia preoccupato, bombardati come sono dall’allarme ecocatastrofista, anzi, trovarne uno che non veda l’ora di vivere in un mondo più caliente, e scenda in strada col cartello “vamos todos a la playa en mayo” (a maggio) “y quizás en abril” (e magari ad aprile).
Sarà allora che sono mesi e mesi che Greta salta la scuola di venerdì, il motivo della proposta? Ma in tal caso mi vengono subito in mente due o tre dei miei studenti che saltano scuola di venerdì, di giovedì, di mercoledì, a volte persino di martedì, e ovviamente di lunedì. Un alunno in particolare o non viene a scuola o, se ci viene, passa mattinate intere riverso sul banco. Una volta l’ho rimproverato per questo suo comportamento, e mi ha risposto che nelle mie ore non ha mai dormito. Da Nobel! Forse non merita il premio per la Pace, perché credo che nei suoi vagabondaggi non abbia mai pensato di inalberare un cartello inneggiante a una nobile causa, ma almeno candidiamolo al Nobel per l’Economia (risparmia o no le forze?), oppure per la Letteratura (io insegno italiano e le mie lezioni sono noiosissime, quindi gli estremi ci sono).
No, sicuramente la proposta è dovuta a ciò che Greta ha scelto di fare durante quei venerdì mattina, certo qualcosa di più importante che seguire le lezioni dei suoi professori (ma nella sua scuola tutto tace? Tra l’altro la ragazza sta ancora frequentando la Grundskola, la scuola dell’obbligo, che in Svezia va dai 7 ai 16 anni di età. Greta ha compiuto 16 anni a gennaio scorso, mentre ha cominciato la sua protesta nell’agosto del 2018). Come si batte dunque l’eroina (nel senso di donna eroica, non di polvere bianca ben nota a quel mio alunno sdraiato sul banco…) della lotta contro il climate change? Greta rimane seduta di fronte al parlamento svedese per manifestare contro le politiche che, ne è convinta (ne è stata convinta, visto che a sedici anni mi pare difficile sia un’esperta di climatologia), provocano l’aumento delle temperature globali. C’è proprio di che protestare di fronte al parlamento della Svezia, uno dei paesi più virtuosi al mondo nel contrasto ai cambiamenti climatici secondo il Climate Change Performance Index 2019, presentato alla Cop 24 di Katowice, la stessa conferenza sul clima a cui Greta è stata invitata a tenere un discorso nel dicembre scorso (si veda qui e qui). Ma allora che senso ha manifestare davanti al parlamento di un paese perfettamente in linea con le proprie rivendicazioni? Che vada a scuola a imparare a scrivere, Greta, così potrà intasare di e-mail di protesta la casella di posta di quel cattivaccio di Trump, casomai.
Sarà mica che la giovane svedese, essendo affetta dalla sindrome di Asperger e da mutismo selettivo (ha dichiarato “in pratica parlo solo quando ritengo sia necessario”: alla Cop 24 sì, mi chiedo se faccia lo stesso durante le interrogazioni), rientra a buon diritto nella superpremiata categoria dei diversi (ne avevo già scritto qui)? Tralasciamo il mutismo selettivo: se lo vengono a sapere i miei alunni della quinta professionale pretenderanno di conseguire tutti voto cento centesimi alla maturità. In passato ho insegnato ad alcuni studenti con sindrome di Asperger. Riporto la definizione di chi ne sa più di me (si veda qui): “la sindrome di Asperger è un grave disturbo dello sviluppo caratterizzato dalla presenza di difficoltà importanti nell’interazione sociale e da schemi inusuali e limitati di interessi e di comportamento. Sono state constatate molte similitudini con l’autismo senza ritardo mentale (…), ma non si è ancora risolta la questione se la sindrome di Asperger e l’autismo di alto livello siano veramente condizioni diverse” (il grassetto è mio). Per quel poco che ho visto confermo: si tratta di ragazzi intelligenti ma non ragionevoli, non empatici, con gravi problemi a interagire con i coetanei.
Quindi, ricapitolando, tre politici norvegesi hanno proposto di assegnare il premio Nobel a una sedicenne con grave disturbo dello sviluppo simile all’autismo, che salta la scuola un giorno alla settimana per protestare davanti a coloro che la pensano come lei e si prodigano già per attuare le misure che lei reclama. Ah, dimenticavo, nel nome di Greta e della lotta ai cambiamenti climatici, stamattina studenti di tutto il mondo hanno saltato la scuola e sono scesi in piazza per manifestare. Sarà mica che Greta è il testimonial ideale, con l’innocenza dei suoi quindici, e ora sedici anni, per la campagna politica contro le fonti di energia non rinnovabili? Non è che qualcuno la sta strumentalizzando, poverina? In realtà, come spiega questo articolo, Greta rientra in una strategia sapientemente orchestrata dal Pr professionista Ingmar Rentzhog. Ma sarà meglio non dirlo: si perde tutta la poesia di questa storia, la spontaneità di questa Malala a rovescio. Toccante ad esempio il commento del Fatto Quotidiano, che tira in ballo la celebre fiaba di Andersen con il bambino che ha il coraggio di gridare che il re è nudo. Solo che qui che il re sia nudo lo gridano anche gran parte dei cortigiani, e il re stesso: non è che dimostri tutto questo coraggio, il bambino. La narrazione ricalca l’episodio biblico di Davide e il gigante Golia, però in questo caso è Golia che mette la fionda in mano a Davide e gli indica dove mirare.
Ma c’è un punto, caro Direttore, su cui vorrei attirare la sua attenzione, ed è lo skolstrejk, come lo chiama Greta. Facile capire lo svedese, in questo caso: skol come school, strejk come strike (in inglese “sciopero”). Lo sciopero scolastico. Lo sciopero scolastico? Ma scioperare significa astenersi dal lavoro e rinunciare alla retribuzione corrispondente. Significa creare un disagio al datore di lavoro, o all’intera società, e pagare di tasca propria. Gli studenti in rivolta a chi creano disagio? Agli insegnanti che oggi non hanno fatto lezione per il gran numero di assenti? E a cosa rinunciano? Rinunciano al diritto all’istruzione, magari per invocarlo in piazza, come fanno ogni anno da quando ho memoria? Ma non chiamiamoli studenti, costoro, che disertano così volentieri il loro posto in classe, mentre ci sono bambini e adolescenti di paesi del Terzo Mondo che fanno chilometri a piedi ogni mattina per raggiungere i loro compagni e insegnanti (come testimonia il film del 2012 Vado a scuola). Quando vedremo una manifestazione studentesca fissata alle tre del pomeriggio, oppure di sabato mattina, allora non ci verrà la tentazione di pensare che sia solo una scusa per marinare le lezioni.
E non chiamiamoli nemmeno scioperanti, perché lo sciopero è tutt’altra cosa. Lo “sciopero scolastico” è un insulto ai lavoratori, alle lotte operaie, a chi si è tolto il pane di bocca per ottenere condizioni dignitose per sé e per i propri compagni, costretti a lavorare come bestie. Uomini e donne coraggiosi che rischiavano sanzioni penali, quando lo sciopero era ancora illegittimo, e se le sognavano, per i propri figli, tutte le opportunità a cui la nostra gioventù guarda con sufficienza, se non con fastidio. Oggi tanti ragazzi sono studenti di nome, ma non di fatto. E non sono scioperanti, perché non rinunciano a una paga che non ricevono, non creano nessun disagio a nessuno, nemmeno a chi è al governo: tanto si sa già che gli studenti scendono in piazza, ogni anno è così. Tutt’al più sono degli scioperati. No, scioperati è offensivo, poverini.
Chiamiamoli protestanti. Dal Sessantotto in poi, protestare è una caratteristica riconosciuta dello studente doc. Non è essenziale che uno studente studi, in effetti. L’importante è che protesti: perché nelle aule i caloriferi sono freddi e si gela, perché i caloriferi sono tenuti accesi nonostante il riscaldamento globale, e si crepa di caldo, perché il numero delle ore di alternanza scuola-lavoro è eccessivo, l’anno dopo perché il Ministero ha ridotto il numero delle ore di alternanza (ma non era quello che chiedevano?)…
Da Greta al mio alunno spiaggiato sul banco, migliaia di studenti ogni anno si cimentano nell’ardua impresa di sfondare porte aperte. Si riempiono la bocca con il diritto allo studio. Poi ci sono gli studenti che parlano di meno ma studiano davvero, che si impegnano sul serio. E forse sono loro che, divenuti adulti, saranno in grado di migliorare il mondo in cui viviamo, e contribuire a risolvere i problemi ambientali. Senza essere marionette nelle mani di qualche astuto pubblicitario, che non si fa problemi a sfruttare una minorenne, inducendola a perdere un giorno di scuola ogni cinque…
Cordiali saluti
Emanuele Gavi