Egregio Direttore,
piccolo scandalo al liceo! Un’insegnante (notare l’apostrofo, altrimenti i miei studenti penseranno subito che il colpevole sia io) ha inserito nella lista dei libri consigliati un romanzetto che conterrebbe tre pagine dedicate a una scena sadomaso. Togliamo il condizionale: contiene. Oggi sono stato in libreria e ho verificato. Si tratta proprio di sadomaso. Non sono i giornali che hanno esagerato. Né i genitori inviperiti.
Nel capitolo che giustamente ha suscitato un coro di proteste, c’è un tale legato al soffitto da cinghie di cuoio, con il volto coperto da una maschera e per il resto nudo come un verme. La signora a cui lui stesso ha chiesto di essere umiliato in questo modo (furbo!), abbigliata da dominatrice con stivaloni e tacchi a spillo (che fantasia gli scrittori di oggi!), lo sodomizza con un aggeggio apposito, con grande soddisfazione del poveretto, che a questo punto poveretto non si può definire, visto che ci gode come un pazzo. Invece noi sappiamo che si tratta proprio di un poveretto, e che ha bisogno di aiuto. Di un bravo psichiatra, e prima ancora di una bella endoscopia digestiva, per curare le lesioni che riporterà.
Noi lo sappiamo. Ma i giovani? I ragazzi a cui è stata incautamente imbandita questa porcheria? Glielo posso assicurare, Direttore, perché ne ho parlato con loro ancora ultimamente, a seguito del fatto: i giovani pensano che siano pratiche del tutto normali, che ci sono persone che hanno quei gusti lì, che è un passatempo come un altro, che bisogna essere tolleranti, accogliere tutti… I giovani si bevono qualunque sciocchezza. L’abbiamo visto con Greta Thunberg. Vaglielo a spiegare, che farsi infilare le cose nel didietro fa male. Che non è un’opinione da vecchi professori, il fatto che faccia male. Provoca davvero dolore, e lesioni all’ano e al retto. Vaglielo a spiegare che non si tratta di sesso (che c’entra il sesso? stiamo parlando dell’ultimo tratto del tubo digerente e di un oggetto: gli organi sessuali non sono coinvolti nemmeno per sbaglio). Si tratta di violenza, anche se mascherata da piacere trasgressivo.
Ora, tutti possiamo sbagliare, io per primo. La regola d’oro di un insegnante di italiano, però, è consigliare un libro soltanto dopo averlo letto. Mai per sentito dire. Io voglio sperare che la collega che ai suoi alunni ha proposto, tra gli altri, anche questo testo, non l’abbia letto. E comunque si tratta di un’imprudenza notevole e di una mancanza grave dal punto di vista deontologico.
Vorrei però sottoporre alla Sua attenzione, caro Direttore, una riflessione un po’ più ampia. Chiediamoci: quali libri propone la scuola ai giovani?
Uno dei romanzi più gettonati, almeno fino a cinque, sei anni fa, era Il cacciatore di aquiloni, di Khaled Hosseini. La vicenda ruota intorno al rimorso del protagonista, che da ragazzino ha lasciato che il suo migliore amico venisse allegramente sodomizzato (sempre lì!) dal capo di una banda di coetanei, senza intervenire in suo soccorso. Il protagonista, una volta cresciuto, scopre che l’amico è morto, ma ha avuto un figlio, che ritrova (bambino) vestito da donna e sfruttato come schiavo sessuale dallo stesso sodomizzatore del padre, a sua volta divenuto adulto. Questo povero bambino, costretto a un’esistenza da baby prostituto, riesce rocambolescamente a fuggire col protagonista, ma poco tempo dopo si chiude in bagno e tenta il suicidio tagliandosi le vene.
Direttore, lei darebbe un romanzo del genere in pasto a degli adolescenti, nella delicatissima fase della vita in cui tra le altre cose formiamo la nostra identità sessuale? Le assicuro che ho studentesse di quinta superiore che questa storiaccia l’hanno letta alle medie (al-le-me-die: dagli 11 ai 14 anni, cioè preadolescenza, nemmeno adolescenza piena), propinata da qualche mio o mia collega. E naturalmente queste ragazze buone come il pane (lo dico senza ironia) la trovano bellissima, perché a quell’età non ci si rende conto davvero della brutalità, della gravità di certi atti, narrati per giunta con il compiacimento di chi vuol solo vellicare la morbosità del pubblico.
Faccio solo un altro esempio: Niccolò Ammaniti. Nato come scrittore “cannibale”, partecipò con un suo racconto a una raccolta degli anni Novanta che non voglio nominare, sottotitolata “La prima antologia italiana dell’orrore estremo”. Costui ha poi scritto Io non ho paura. Il film lo ricordiamo tutti: gli splendidi paesaggi, la carismatica presenza di Diego Abatantuono… Il libro ovviamente nessuno l’ha letto: è costellato di parolacce, compresa una bestemmia (a pagina 61). Cito soltanto una frase. Di nuovo un gruppo di ragazzini. In questo caso la vittima è una bambina grassa. L’immancabile perfido bulletto rimugina ad alta voce: “Questa volta ci fa vedere la fessa. La fessa pelosa. Ti abbassi le mutande e ce la fai vedere” (pagina 16). Vede, Direttore, a differenza del protagonista del libro, io un po’ di paura ce l’ho, o per lo meno sento una stretta allo stomaco, perché un romanzo con un linguaggio di questo tenore non solo è diffuso nelle scuole, ma è pubblicato dalla prestigiosa casa editrice Einaudi di Torino, nella collana (attenzione) “Einaudi scuola”. Ei-nau-di-scuo-la. E così lo definisce la quarta di copertina: “un libro profondamente morale”. Forse qualche insegnante ha le idee confuse, ma anche i professionisti dell’editoria non scherzano, di questi tempi.
Vogliamo poi parlare degli spettacoli teatrali? A differenza dei libri, che dobbiamo aver letto prima di proporli agli alunni, noi docenti normalmente non possiamo aver visto uno spettacolo prima di portare i ragazzi ad assistervi, perché, per trovare posto, i biglietti vanno acquistati mesi prima che lo spettacolo arrivi in città. L’anno scorso mi è capitato di accompagnare i ragazzi a teatro per assistere a una pièce che era stata scelta dalla collega di filosofia. Il lavoro era consigliato per le scuole dal materiale informativo fornito ai docenti dal teatro: sulla carta si trattava (cito) di “riflessione” sulla società europea, di una sorta di “fascicolo perduto di una qualche enciclopedia del contemporaneo”, di una serie di “favole morali”. Di nuovo questo termine, “morale”. L’uso disinvolto che se ne fa mostra chiaramente il livello di moralità di chi produce cultura oggi, e di chi tale cultura la promuove, la vende: la gestisce.
Le “favole morali” erano siffatte. In una scena due uomini rimanevano in mutande, e uno dei due mostrava i suoi gioielli a una donna (non al pubblico, per fortuna, al quale però, successivamente, non sono state risparmiate le natiche di un altro attore). In un’altra apparivano esseri deformi, uno dei quali esibiva dei colossali genitali finti, da cui un suo compare beveva, per poi spruzzare l’acqua all’intorno, con un evidente richiamo a pratiche di erotismo orale. Ancora: a un certo punto si dichiarava che non esistono più malati di Aids, cosa che noi adulti sappiamo bene essere falsa, perché l’Aids esiste eccome, anche se per lo meno non fa più vittime, grazie alle terapie antiretrovirali. I ragazzi, invece, non lo sanno, e vengono fuorviati da simili bugie. Poi c’era un travestito che palpava le parti intime di un altro personaggio e, dulcis in fundo (in fundoschiena), come dicevo ci mostrava allegramente il lato B (sì, si arriva sempre al deretano e alla collegata sodomia, che oggi trova sponsor anche tra le riviste femminili: si veda qui).
Ovviamente la collega e io abbiamo protestato con la direzione del teatro, ma quanto vengono prese in considerazione, queste proteste? Ci rendiamo conto dello stato di degrado morale a cui è giunto oggi il mondo della cosiddetta cultura (e noi con lui)? Ci accorgiamo di quanto la pornografia sia ormai diffusa anche nel teatro, nel cinema, nella narrativa, nelle arti figurative? O siamo già assuefatti a tutto questo?
Di cosa ci stupiamo? “Il Cassero LGBT center” di Bologna, emanazione dell’Arcigay finanziata da Comune, Città Metropolitana, Regione e Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, ci informa (bilancio del 2018, pubblicato qui) di aver ricevuto dal Liceo Classico “Marco Minchetti” (sic: veramente il nome è Minghetti, ma è già tanto che non abbiano scritto Minchietti…), di aver ricevuto ben 800 euro per un laboratorio dedicato a “immagini di sessualità e affettività dai media alle persone”: le abbiamo viste, queste immagini del Cassero (le ho riportate qui). E non stiamo parlando di un singolo insegnante, ma di un intero istituto, di un liceo, tempio del sapere, di un Collegio Docenti che ha dato il suo assenso a far entrare tutto ciò a scuola.
Ecco perché parlavo di “piccolo” scandalo: piccolo in confronto al degrado oggi dominante in ambito culturale e scolastico.
Per cui non stupiamoci. Ma torniamo a far leggere ai nostri ragazzi i classici: Walter Scott, Jane Austen, le sorelle Brontë, e poi Dickens, Stevenson, London, Conrad, Hesse, C.S. Lewis, Hemingway, Golding, Borges, Buzzati, Calvino, Guareschi, Primo Levi. E soprattutto Dante e Manzoni.
Cordiali saluti
Emanuele Gavi