Egregio Direttore,
c’è una canzone che mi ossessiona, anzi no: che mi rasserena. Ho scritto “ossessiona” perché la ascolto quasi tutti i giorni da sei mesi. Ora però siamo in tema, dato che è una canzone natalizia: Driving Home for Christmas di Chris Rea. Ogni volta che lo sento, questo pezzo ha il potere di rassicurarmi. È un piccolo antistress sonoro, un morbido tappeto di note in cui affondare piacevolmente i piedi. E non mi stanca. Lo ascolto tutti i giorni, manco fossi un adolescente. Eppure non mi stufo. Non mi era mai capitato con nessun’altra canzone.
Ma cos’avrà di tanto speciale? Non è la tipica hit di Natale, di quelle che hanno interpretato tutti i grandi, da Frank Sinatra a Ella Fitzgerald, da Diana Krall a Michael Bublé. È un brano degli anni Ottanta, ma l’introduzione è affidata a un pianoforte che evoca la calda atmosfera dell’epoca d’oro del jazz: Chris Rea, spiegandone la genesi (qui, e in video qui), ricorda che, provando due pianoforti nuovi, si divertiva a imitare Count Basie e Nat King Cole. Atmosfera calda e avvolgente, come calda è la sua voce. Su Youtube il video migliore che hanno realizzato, a mio parere (e non solo mio: quasi 23 milioni di visualizzazioni), è quello che mostra dall’interno il parabrezza di un’auto in viaggio su strade innevate: c’è tutto il contrasto tra interno ed esterno, tra calore e temperature gelide.
È dunque una canzone moderna e al tempo stesso classica: le canzoni di Natale devono avere qualcosa di classico, qualche reminiscenza del passato, visto che il Natale è il compleanno di Uno che è nato oltre 2000 anni fa. Ma non è delle virtù musicali della canzone che voglio parlare, né sarei in grado di farlo. C’è qualcosa che questa canzone risveglia in me. Sarà che sono nato negli anni Ottanta e che amo il jazz, lo swing? Che in ogni cosa sono un classicista ma non un antichista, nel senso che non amo il passato per il passato, ma cerco il classico che fiorisce nel moderno? No, credo ci sia dell’altro.
La canzone parla di un’attesa, parla delle imminenti vacanze natalizie: sarà questo a rendermela tanto simpatica? Noi insegnanti a settembre aspettiamo già Natale, a gennaio Pasqua, ad aprile l’estate (solo noi insegnanti?). Non è che gli insegnanti (gli esseri umani) siano degli scioperati. Ci piace lavorare. Ma Natale significa anche riposo, affetti, allegria, tempo per dedicarsi alle cose belle della vita. Tuttavia… no, non si tratta nemmeno di questo.
È una canzone rassicurante, ma vi si avverte un dolore inespresso. Del resto è l’autore stesso, nell’intervista, a ricordare un viaggio in auto con sua moglie in un periodo nero della sua carriera. Sarà allora il contrasto di cui dicevo a colpirmi a livello inconscio: freddo e caldo, cioè paura e coraggio, morte e vita. La canzone parla di un viaggio, e si sa che il viaggio è metafora dell’esistenza. Vi si sente il dolore che la vita porta con sé, la fatica, la stanchezza. Ma è un viaggio verso casa, verso il calore di una casa in cui si festeggia il Natale.
Ecco, ci siamo. Non è una semplice canzone di Natale. È una canzone che parla della vita. Parla del ritorno a casa, del ritorno in famiglia. Il ritorno a casa è uno dei temi fondamentali della nostra letteratura, dall’Odissea alla Tregua di Primo Levi. Dopo la morte, nella vita non c’è nulla di così terribile come l’esilio.
Nei secoli scorsi lo sapevano tutti: Manzoni lo canta modulando la sua prosa sui ritmi della poesia nell’addio ai monti, Verga lo esprime sottotraccia nel finale dei Malavoglia, quando ’Ntoni lascia Aci Trezza, probabilmente per sempre. Oggi in pochi osano dirlo, e ogni giorno veniamo bombardati da messaggi opposti: quanto è bello l’Erasmus, quanto è bello lavorare all’estero, quanto è bello emigrare. Sono balle. Non è vero che siamo tutti emigranti. Siamo tutti marinai: partiamo da un porto e vi ritorniamo. Il nostro porto. La nostra città. La nostra terra. Il nostro popolo e la nostra famiglia. Siamo alberi a cui stanno tentando in tutti i modi di tagliare le radici.
Per carità, anche Renzo e Lucia nel finale dei Promessi sposi si trasferiscono nel bergamasco, e poi si ritrasferiscono. Cambiare città non è un dramma, specie se si va a star meglio. Ma tra l’ideale dell’ostrica e lo sradicamento a cui ci vogliono condannare certi potenti, fautori della Società Aperta, c’è una via di mezzo: ritornare a casa. Cioè essere fedeli alla propria identità, alla propria storia, alla famiglia e alla comunità di origine. E forse io, a torto o a ragione, più o meno inconsapevolmente, ho trovato questo messaggio in Driving Home for Christmas.
Ma c’è anche un altro ritorno, che attende tutti. Il ritorno finale. Quello del figliol prodigo alla Casa del Padre. Lo vedremo quando moriremo, se la nostra vita è stata un viaggio verso una meta ultraterrena, anzi un viaggio di ritorno, o era un girare a vuoto come vogliono i materialisti. Gli episodi di pre-morte ci illuminano, è proprio il caso di dire, come quelli che spiega il neurologo Carlo Jovine in questo video. Migliaia di racconti simili: persone tornate indietro che hanno visto un tunnel oscuro terminante con una luce indescrivibile. C’è soltanto un luogo che mi ha dato la netta sensazione di essere ritornato a casa, anche se era la prima volta che vi andavo, ed è una sensazione che hanno avuto milioni di pellegrini. Questo luogo è Medjugorje.
E il riferimento a un ritorno più alto c’è anche nella canzone di Chris Rea. Un piccolo accenno a un “holy ground”, un terreno sacro, benedetto. Sì, è davvero una grande canzone, che parla al cuore di ogni uomo.
Quindi, caro Direttore, buon Natale a tutti coloro che in queste ore si sono messi in viaggio per trascorrere le feste in famiglia. Buon Natale a tutti gli uomini, anche quelli che in questo momento sono i più lontani dalla Buona Notizia. E buon Natale in particolare a tutti i cristiani, visto che la Buona Notizia è la nascita del nostro Salvatore. Che ci aspetta a casa.
I cristiani sono coloro che vivono costantemente in viaggio. Vivono per l’istante della morte, l’istante del ritorno.
Auguri di cuore, fratelli
Emanuele Gavi