Che delusione Checco Zalone: impigrito, più che immigrato

Egregio Direttore,

l’ultimo film di Checco Zalone, Tolo Tolo, è un triplo tradimento.

Luca Medici, alias Checco Zalone, tradisce il suo pubblico, cioè gli italiani che sono corsi al cinema perché, allettati dal video della canzone Immigrato, confidavano (io ero tra quelli) in una pellicola politicamente scorretta, tra l’altro sul tema scottante della cosiddetta immigrazione, che è difficile ormai non chiamare invasione, dopo che l’estate scorsa Carola Rackete ci ha quasi speronato una motovedetta della Guardia di Finanza, e viene osannata e premiata, mentre a rischiare di essere processato in questi giorni è Salvini, reo di aver fatto il suo lavoro.

La canzone e l’annesso video promozionale erano ingannevoli e furbeschi, come ingannevoli erano certe anticipazioni sul film: non si tratta dell’originale storia di un italiano che emigra in Africa, come pareva, quanto dell’odissea degli africani dalla loro terra alla nostra, vista con gli occhi di un italiano che li accompagna. Sai che novità! A leggere certi critici giubilanti sembra che al cinema non l’avessero mai raccontati, i viaggi della speranza!

Il video era dunque volutamente ambiguo, con la rappresentazione stereotipata del negro delle barzellette (mi scusi, Direttore, ma come ricorderà nelle barzellette erano proprio “negri”, non neri, dicevano “Sì, buana” e usavano i verbi all’infinito), e la messinscena ripetuta di un confronto tra due gruppi ben distinti: gli italiani e gli stranieri, noi e loro. Quanto di più lontano dalla solfa del multiculturalismo e del politicamente corretto che ricrea la realtà e riscrive la storia, come nei migliori regimi totalitari, per cui ci tocca sorbirci film che tra i lord inglesi del Cinquecento pongono inverosimili aristocratici di colore (succede in Maria regina di Scozia). Nemmeno le fiabe vengono risparmiate, anzi: l’ideologia va instillata il prima possibile nelle giovani menti, ed ecco che in Animali fantastici e dove trovarli il presidente dei maghi è una donna e pure di colore (negli Stati Uniti degli anni Venti! quando le donne avevano appena ottenuto il diritto di voto e i neri non potevano entrare neppure negli stessi locali in cui musicisti di colore suonavano il jazz!!), e nel reame di Arendelle, dove è ambientato Frozen 2, il capo delle guardie è nero (siamo tra i fiordi della Norvegia, leggermente distanti dall’Africa subsahariana!!!).

Premesse tradite nel film: basti dire che il viaggio dei protagonisti si conclude a uno dei tanti festival di contaminazione interculturale. Altro che “Tolo Tolo”: casomai “Tomo tomo, cacchio cacchio”, come avrebbe detto il grande Totò, Zalone si porta a casa un bel mucchio di milioni, dopo aver illuso i suoi fan, i cui commenti sul web sono tutti negativi. Un raggiro che gli ha fruttato incassi da capogiro.

Eppure c’è da chiedersi se a Checco basteranno, i soldi: da una persona intelligente come lui, che ha percorso l’Italia con il Resto Umile World Tour, c’è da aspettarsi un’autocritica, una presa di coscienza.

Perché con questo film Zalone tradisce anche se stesso. Dov’è finito il Checco controcorrente che parlava di normalità agli “uomini sessuali”? Il Checco finto ingenuo che osava dire la verità in un mondo di conformisti, come è quello dello spettacolo? Certo, l’atteggiamento cerchiobottista l’ha sempre avuto (si veda il finale di Cado dalle nubi). Però era anche scorretto, parimenti amato e criticato, come succede solo agli outsider (non dico ai grandi, perché i suoi erano piccoli film, però graffiavano e soprattutto divertivano).

Era scorretto al 100%, Checco, mentre in Tolo Tolo si sforza di incarnare un personaggio scorretto in un film politicamente correttissimo, che sposa due delle false narrazioni di sinistra con cui siamo bombardati quotidianamente dai media. La prima è la tesi indiscutibile secondo cui la soluzione dei problemi dell’Africa sta nella migrazione degli africani in Europa (e chi l’ha detto che questo redistribuirà la ricchezza?). La seconda è l’accusa di fascismo mossa a chiunque non sia d’accordo con questa visione del problema, e l’allarme per il fascismo che starebbe dilagando in Italia (mentre in Italia non c’è nessun ritorno al fascismo: per dirne una, l’anno dopo il flop alle politiche del 2018, CasaPound ha terminato la sua esperienza come partito. Non parliamo dell’“uomo forte” Salvini, che si sfila dal governo e aspetta pazientemente le elezioni: lo fanno tutti i dittatori…).

Tra l’altro nel film la tentazione fascista montante in Checco viene accompagnata dalle note di Faccetta nera. Il testo della celebre canzone (celebre… i miei alunni non la conoscono, a proposito di fascismo di ritorno) recita tra l’altro: “Faccetta nera, piccola Abbissina,/te porteremo a Roma, liberata;/dar sole nostro tu sarai baciata,/starai in camicia nera pure te./Faccetta nera, sarai romana/e pe’ bandiera tu ci avrai quella italiana./Noi marceremo insieme a te/e sfileremo avanti ar Duce e avanti al Re”. I fascisti dunque cantavano questo: che avrebbero portato le africane a Roma, dopo averle liberate. Ha capito, Direttore? Le avrebbero portate in Italia! Sta a vedere che erano dei no border anche loro! “Faccetta nera, sarai romana/e pe’ bandiera tu ci avrai quella italiana.” Quindi, oltre alla camicia nera, avrebbero dato loro pure la cittadinanza, come si direbbe oggi. Bastano questi pochi versi per capire quanto sia fasulla l’equazione sovranismo uguale fascismo, riproposta anche dal film.

Che Zalone non fosse il Mel Gibson del cinema italiano, l’avevamo capito. Che non fosse il Diego Fusaro dei comici, potevamo immaginarlo. Ma che proprio l’enfant terrible del piccolo mondo dello spettacolo italico si riducesse a fare il megafono della vulgata radical chic è davvero triste, altro che divertente. Sarà colpa del distacco da Gennaro Nunziante, sostituito dallo schieratissimo (a sinistra, ovviamente) Paolo Virzì? Sta di fatto che dopo il Papa, Greta, Carola, la Segre, le Sardine, i Cinque Stelle diventati europeisti, il Festival di Sanremo trasformato in Gay Pride, noi amanti della verità, e delle verità scomode, non sappiamo più a che santo votarci. Perché ribadire la verità delle cose vuol dire restare coi piedi per terra, ancorati alla realtà.

E il terzo tradimento il film lo consuma proprio ai danni della realtà, come è inevitabile che accada a chi sale sul carro dell’ideologia oggi dominante. Tralasciamo scene come quella dell’affondamento del barcone, con i migranti che in acqua cantano allegramente: stupida o cinica? Certamente di cattivo gusto. Oppure quella finale della cicogna strabica, che per sbaglio porta i bambini in Africa: come se Africa fosse inevitabilmente sinonimo di miseria, mentre è un continente ricchissimo di risorse. Questo è il razzismo dei buonisti, il suprematismo bianco dei campioni della solidarietà. Mentre i vescovi africani, chissà perché, invitano i giovani dei loro popoli a non partire, a restare e a costruire una società migliore sulla loro terra. Lo stesso fanno i governi di alcuni paesi del continente, come il Mali o la Nigeria. Di tutto ciò nel film, così come nel dibattito sui giornali italiani, non c’è traccia.

La battuta più infelice, però, a mio parere è un’altra. A un certo punto Checco scopre che lo riporteranno in Italia, e dichiara che, piuttosto, preferisce tornare in Africa. Questa non è una battuta, purtroppo. È un sentimento che accomuna molti immigrati, partiti dopo essere stati ingannati da trafficanti senza scrupoli che promettevano loro mari e monti, e passati da una condizione dignitosa in patria, anche se certamente inferiore agli standard occidentali, a una disastrosa in Libia o qui in Europa. Come gli studenti dell’università di Dakar che usano le borse di studio per pagare i trafficanti (A. Bono, Migrazioni, emergenza del XXI secolo, pp. 37-38). O il ragazzo pakistano di cui racconta un trafficante di uomini: in patria aveva un laboratorio di analisi ben avviato, in Italia lavora in nero e fa quasi la fame (ivi, p. 59). Per non parlare di coloro che hanno trovato la morte nel deserto o in mare, come Ibrahima Ba, ventisettenne senegalese, la cui madre ha dichiarato al Wall Street Journal: “Non gli mancava niente. Aveva tutto quello che gli serviva” (ivi, p. 33).

Il film appare veramente superficiale, nel trattare il tema dei flussi migratori. Che a questo proposito Zalone sia in buona compagnia non lo giustifica. Ma c’è ancora un fatto da rimarcare. Il film è fiacco per un difetto della struttura narrativa. Nelle pellicole precedenti il personaggio di Checco era il motore dell’azione: qui invece è pigro, passivo, si fa trascinare dagli altri. Sarà lo specchio di quanto è accaduto a Luca Medici, dopo il successo del precedente Quo vado?

Cordiali saluti

Emanuele Gavi

Zalone 3

Si fa proprio trascinare