Un Papa al traino… di Conte e Fabio Fazio

Egregio Direttore,

c’è qualcosa che mi inquieta ben più della pandemia da coronavirus, ed è lo stato di salute della Chiesa cattolica in generale e italiana in particolare. Da circa un mese in Italia viviamo senza sacramenti, e molte delle nostre chiese sono chiuse. La gente muore senza sacramenti. Ufficialmente la sospensione delle funzioni religiose e la chiusura di molti edifici di culto servono per contrastare la diffusione del morbo, ma basta riflettere un minuto per capire che non c’è alcun rischio di contagio se si fanno entrare tre persone alla volta in una chiesa di mille metri quadrati. Non ci sarebbe alcun rischio nemmeno facendone entrare dieci alla volta. Nel mercato coperto sotto casa non ho mai dovuto aspettare all’ingresso, che è piantonato da robusti addetti alla sorveglianza: ogni volta trovo all’interno decine e decine di persone. Questo mercato comunale è grande suppergiù come la mia parrocchia, il cui ingresso però è chiuso con una cancellata.

Tutto questo alla faccia del refrain “porte aperte” ripetuto a ogni piè sospinto dall’elezione di papa Bergoglio in poi. Persino la porta stretta di cui parla Gesù per il Papa era “stretta ma sempre spalancata”: un bel modo per forzare il testo del Vangelo, negando di fatto che la porta del paradiso sia stretta, il che significa che non tutti gli uomini potranno varcarla. “Dio non fa preferenze, ma accoglie sempre tutti, senza distinzioni. Una porta stretta per restringere il nostro orgoglio e la nostra paura; una porta spalancata perché Dio ci accoglie senza distinzioni”. (Angelus del 21 agosto 2016). Eppure Nostro Signore è stato molto chiaro: “Molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno” (Lc 13, 24).

In un periodo di chiese chiuse e sacramenti sospesi, la retorica cattoglobalista si scioglie come neve al sole: che brutti i muri, viva i ponti, chiesa ospedale da campo, porte aperte come aperti devono essere i porti… Tutto questo si mostra per quello che era: ideologia, non realtà. Parole d’ordine di una certa propaganda, non elementi imprescindibili della fede di un buon cristiano. Del resto alcuni slogan del pontefice, rilanciati dalla cultura dominante, da anni sono già scomparsi dai radar: chi si ricorda più della “guerra mondiale a pezzi”? C’era davvero e la situazione si è poi risolta, senza che nessuno se ne sia accorto, o abbia avuto l’idea di comunicarcelo?

Oggi appare con grande evidenza come non sia il mondo a riprendere gli insegnamenti del Papa (qualcuno poteva crederci?), ma il Papa a farsi portavoce delle istanze del mondo, in particolare dei grandi manovratori degli organismi sovranazionali e delle loro piccole o minuscole pedine locali.

A denunciare le incredibili quanto inaccettabili convergenze Vaticano-Onu di questi ultimi anni, per esempio, si sono spesi autorevoli commentatori, da Riccardo Cascioli a Stefano Fontana, da Aldo Maria Valli a Roberto De Mattei, per citarne solo alcuni. Non ci sarebbe nemmeno da stupirsi, se teniamo conto delle rivelazioni di WikiLeaks a proposito del coinvolgimento dello staff di Hillary Clinton, e in particolare di John Podesta, presidente della campagna elettorale dell’ex first lady, nel progetto di una “rivoluzione” interna alla Chiesa cattolica. L’organizzazione di Assange ha pubblicato uno scambio di e-mail risalente a febbraio 2012, esattamente un anno prima della rinuncia di Benedetto XVI. Cito da formiche.net (il grassetto è mio):

“Dagli account di posta elettronica violati da WikiLeaks, si legge uno scambio di mail dell’11 febbraio 2012. Sandy Newman, attivista progressista non cattolico, scrive a Podesta chiedendo suggerimenti per “piantare i semi di una rivoluzione”, per una “primavera” nella Chiesa cattolica. Obiettivo: far cambiare idea ai vescovi Usa su contraccezione, aborto e promuovere l’uguaglianza di genere. Chiara la risposta di John Podesta: per fare una rivoluzione si deve lavorare dall’interno, dal basso verso l’alto. E per questo – ricorda – abbiamo creato (sottinteso: noi democratici) i Catholics in alliance for the common good e nella stessa direzione lavora Catholics united. Due gruppi di pressione dell’ampia galassia dei movimenti progressisti americani.
Un donatore importante per finanziare le cause è il filantropo Soros. Attraverso la sua fondazione, nel 2005-06 ha donato a Catholics in alliance 50mila dollari all’anno. Nel 2007-8 la somma è salita a 100mila all’anno. Altri 300 mila dollari sono finiti a Catholics for a free choice, un’associazione di cattolici pro aborto. Lo stesso Soros, sappiamo da un altro gruppo di documenti di WikiLeaks pubblicati in estate, ha donato 650mila dollari per la visita del 2015 di papa Francesco negli Usa. Tra i beneficiari, anche il Pico (People Improving Communities through Organising), di cui è sostenitore il cardinale Oscar Rodriguez Maradiaga, uno degli uomini più vicini al papa”.

Quanto sia cattolico John Podesta, pezzo grosso dello staff di Hillary Clinton e precedentemente del marito Bill quando era presidente degli Stati Uniti, lo rivela il suo coinvolgimento in scandali pedofilo-satanisti (si legga qui). Interessanti poi questi contatti tra il miliardario George Soros, presidente della Open Society Foundation, il cardinal Maradiaga, coordinatore del C9, il consiglio di nove cardinali (oggi ridotti a sei) che il Papa ha nominato per guidarlo nella riforma della Curia romana, e il pontefice stesso. La riforma della Curia: nella sua mail Sandy Newman auspica una “rivoluzione”… Gli storici appureranno se il progetto del Papa fosse quello di una “riforma” come si intende nel mondo cattolico (la riforma cluniacense, cistercense…) o protestante (la riforma di Lutero non fu una riforma, ma una vera e propria rivolta: una “rivoluzione”, appunto, come spiega Angela Pellicciari in Martin Lutero. Il lato oscuro di un rivoluzionario).

Caro Direttore, è ipotizzabile che la sostituzione di Ratzinger con Bergoglio sia stata frutto di pressioni esterne? L’armonia che regna tra l’attuale pontefice e i maggiori rappresentanti della sinistra internazionale e globalista sarà forse il segno esteriore di legami ben più profondi e impegni ben più consistenti, di cui noi siamo all’oscuro? Si spiegherebbero gesti altrimenti sconcertanti, come la carezza di Macron al Papa, risalente a giugno 2018. Quali giochi si celano dietro una carezza? Giuda aveva usato un bacio.

carezza MacronMa come si permette?

Tante cose non le sapremo mai. Quello che mi colpisce in questo periodo è come il Papa ripeta parole d’ordine che provengono dai livelli più bassi della macchina del potere mondialista. Ricorda, Direttore? Il 29 agosto Conte si presenta agli italiani per dare vita a un secondo governo e propone, come orizzonte ideale per il nostro Paese, “un nuovo umanesimo”. Ed ecco che il 12 settembre Bergoglio lancia il Patto Educativo Globale (si badi: globale), che ci educhi (parole sue, anzi di Conte, anzi di… chi sarà stato a dare l’ordine?) “a un nuovo umanesimo”.

Più recentemente il Papa, intervistato da Repubblica, ha avuto parole di apprezzamento per un articolo di Fabio Fazio pubblicato qualche giorno prima dallo stesso quotidiano. Non so quanti si siano resi conto di come anche la predica tenuta dal pontefice venerdì scorso, durante il momento di preghiera straordinaria per la fine dell’epidemia, ricalchi alcuni passaggi del pezzo di Fazio.

Il Papa ha detto: “Ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca”. E Fazio aveva scritto: “Mi sono reso conto che i confini non esistono e che siamo tutti sulla stessa barca”. Stessa identica frase.

Il Papa: “Non è il tempo del tuo giudizio, ma del nostro giudizio: il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa”. Fazio: “Devo rimettere in ordine la mia scala di valori per scoprire quel che veramente è importante”. Medesimo concetto.

E poi in entrambi i testi compaiono i temi tipici del pensiero umanitario di stampo progressista: il richiamo all’ecologia (il Papa parla del nostro pianeta “gravemente malato”, Fazio della necessità di “riconnettersi alla Terra e all’ecosistema”), alla solidarietà (da Fazio messa in relazione con lo Stato sociale, dal Papa prima con la speranza, poi con l’ospitalità e la fraternità), l’esortazione a non cedere alla paura…

So già cosa mi dirà, Direttore: sono tutte cose buone, dunque che c’è di male che un Papa, ammesso che l’abbia fatto, riprenda un articolo pubblicato sul principale quotidiano laicista, se esso dice cose buone?

Due sono gli elementi inquietanti. In primo luogo siamo di nuovo nel campo dell’ideologia, delle elucubrazioni di chi si tiene ben distante non dai positivi al tampone, ma dalla realtà. Dire che “ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme”, in un periodo in cui, quando usciamo (se usciamo) di casa, dobbiamo farlo uno alla volta e stare lontani gli uni dagli altri, è francamente irritante. Dire che dobbiamo “dare spazio alla creatività”, “aprire spazi”, quando negozi, scuole, persino chiese sono chiuse (a Roma sono state chiuse per un giorno, e proprio per volontà del Papa, che poi ha fatto marcia indietro), sembra davvero fuori luogo. Un Papa che predica di “aprire spazi” davanti a una piazza San Pietro chiusa con le transenne… Dire infine che dobbiamo “permettere nuove forme di ospitalità”, in tempi in cui siamo barricati in casa per decreto del governo, e ci sono vietati finanche i pranzi della domenica, è il colmo.

È la solita retorica, che però cambia pelle. Dire che i muri sono sbagliati, beh, di questi tempi susciterebbe le risate degli italiani. Ma secondo lei, Direttore, dove va a parare il nuovo slogan “siamo tutti sulla stessa barca”? La barca a me una certa idea la dà, e non è la barca di Pietro sballottata dalle onde da cui il Papa ha preso le mosse per la sua omelia. Mi è sembrato più chiaro Fabio Fazio, che così conclude su Repubblica: “E dal momento che siamo tutti sulla stessa barca, è meglio che i porti, tutti i porti, siano sempre aperti. Per tutti”. Cambiano le parole d’ordine, ma l’obiettivo è sempre quello sorosiano della “società aperta”, dell’abolizione delle frontiere, dell’invasione di immigrati. Come scrive Fabione, “i confini non esistono” (e gli italiani sentitamente ringraziano: 13.915 morti, fino a oggi, per un virus cinese).

Ma c’è anche un secondo aspetto che inquieta della meditazione che abbiamo ascoltato venerdì scorso: l’assenza del messaggio cristiano, di quel kerygma che, come scriveva lo stesso Papa nell’Evangelii gaudium, il documento programmatico del suo pontificato, deve “occupare il centro dell’attività evangelizzatrice e di ogni intento di rinnovamento ecclesiale” (Evangelii gaudium, 164). In altre parole chiediamoci: in cosa il discorso di papa Bergoglio differiva dalla predica di Fabio Fazio?

Certamente una frase come questa non compariva su Repubblica: “La preghiera e il servizio silenzioso: sono le nostre armi vincenti”. Giusto, giustissimo. Ma bisognerà pure che qualcuno spieghi ai fedeli come pregare e come servire il prossimo. Basta dire un Padre Nostro quando ce ne ricordiamo? Basta fare bene il proprio lavoro, dire “permesso?”, “grazie”, “scusa”, e soprattutto votare a sinistra?

Ripercorrendo il Vangelo della tempesta sedata, il Papa ci ha ricordato l’invito alla conversione, certo, ma conversione rispetto a cosa? Mancava ogni accenno alle realtà del peccato, della redenzione, della santità. Tre parole assenti nell’omelia del pontefice.

Ora, come può mancare un riferimento al peccato nell’omelia di un venerdì di Quaresima? E che Quaresima stiamo facendo! La stanno facendo anche i non credenti! La conversione per il Papa è semplicemente il suo amato discernimento? “Scegliere che cosa conta e che cosa passa”? Far cadere gli “stereotipi”, altra parola chiave della cultura dominante?

Se non si nomina il peccato, e lo si sostituisce con espressioni vaghe (“la nostra vulnerabilità”, “quelle false e superflue sicurezze”), perde significato la croce di Gesù, nella quale, dice il Papa, siamo stati “salvati, riscattati, risanati e abbracciati”. Cristo crocifisso, ci insegna san Paolo, è “scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani” (1Cor 1, 23).

E quando Bergoglio ci invita a “guardare a tanti compagni di viaggio esemplari”, possibile che ci proponga soltanto le “persone comuni – solitamente dimenticate”, e non i santi? I santi che in duemila anni di storia della Chiesa hanno abbracciato i lebbrosi, sono morti tra gli appestati, e le chiese, loro, non le hanno mai chiuse?

Possibile che per questo Papa abbracciare la croce di Gesù significa soltanto “trovare il coraggio di abbracciare tutte le contrarietà del tempo presente… e dare spazio alla creatività”? La creatività? Io non so se i santi si facessero venire un attacco d’arte come Giovanni Muciaccia. Credo invece coltivassero le virtù teologali e cardinali, dedicandosi con cuore ardente alla preghiera, sottoponendosi a frequenti digiuni, soccorrendo i poveri con i loro beni, in particolar modo durante la Quaresima (pur con i nostri miseri mezzi, anche noi preghiamo, digiuniamo e facciamo l’elemosina, vero?). E poi i santi praticavano le opere di misericordia spirituale e corporale, e si accostavano con fervore e frequenza ai sacramenti, che a noi in questo periodo sono preclusi.

Ecco, Direttore, a me affermazioni del genere appaiono del tutto sproporzionate rispetto al contesto drammatico che stiamo vivendo, e lontane dai principi fondamentali del cristianesimo quanto un’aranciata dal buon vino. Vanno bene per un articolo di Fabio Fazio. Non per la grande preghiera contro il coronavirus.

Sono un tradizionalista? No, sono rimasto cattolico.

Cordiali saluti

Emanuele Gavi

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Parole sante (del 2013…)

 

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27 marzo 2020: davanti al Santissimo Sacramento, seduto

 

papa bacia i piedi 211 aprile 2019: davanti ai leader del Sud Sudan, inginocchiato e oltre