L’analisi di una studentessa di quinta superiore: “Caro Leopardi, la mia generazione è questa”

Egregio Direttore,

oggi vorrei passare dalle diciannovenni del Quattrocento a quelle del Duemila, e proporLe il tema di una mia alunna di quinta professionale. In quindici anni di lavoro con gli studenti, ne ho incontrati ben pochi come questa ragazza, con la sua intelligenza e la sua sensibilità. Pochi di cui dire: “Samantha (il nome è di fantasia) non è un’adolescente: è una giovane donna”.

Mi rivolgo a Lei, caro Direttore, perché so bene che Nessun Giornale pubblica i temi scolastici, specialmente se sono interessanti come questo. Segue una mia piccola replica.

Cordiali saluti

Emanuele Gavi

 

Leopardi e la ricerca della felicità

Tutti gli studenti, da anni ormai, sono soliti pensare alla figura di Leopardi come a un uomo profondamente influenzato da pessimismo e sfortuna ma, in realtà, i professori dovrebbero dimostrare loro che si sbagliano.

Alessandro D’Avenia, noto scrittore italiano apprezzato soprattutto dai giovani, nonché professore di lettere in una scuola superiore milanese, ha deciso di raccontare la sua esperienza pubblicando il libro L’arte di essere fragili. In quest’opera, l’autore parla appunto di quando, seduto tra i banchi di scuola proprio come noi oggi, è entrato in contatto con l’opera di Giacomo Leopardi e, al contrario dei suoi compagni, ha visto in lui una fonte di ispirazione. Come racconta D’Avenia, il poeta marchigiano ha avuto sì una vita, e soprattutto un’adolescenza, difficili sia a causa della sua malattia sia per quanto riguarda il soffocante ambiente familiare, ma Leopardi è stato soprattutto un ragazzo come tanti altri della sua epoca, che amava la vita e che ha avuto il coraggio di continuare a seguire la sua passione per la letteratura e per il sapere nonostante le numerose difficoltà. Partendo da questo presupposto, dovremmo riflettere sul fatto che, nonostante i pregiudizi attribuiti al poeta, egli ha saputo in un certo senso essere più adolescente di noi.

In uno scenario del tutto ipotetico, infatti, un ragazzo tra gli undici e i diciannove anni che vive in un’epoca come la nostra dovrebbe presentarsi come un adolescente pieno di energie, felice di tutte le possibilità che il mondo può offrirgli, animato da una passione che lo tenga impegnato dandogli almeno un’idea di come potrebbe essere il suo futuro. Purtroppo, però, la situazione attuale è molto lontana da questa. Oggi, infatti, i giovani, reduci probabilmente da un’infanzia vissuta in una bolla iperprotettiva, devono fare i conti con l’ansia e la paura di tutto ciò che li circonda, perché passano in un attimo dall’essere persino portati in braccio dai loro genitori all’essere catapultati nel mondo degli adulti. Spesso ciò avviene senza veri e propri passaggi intermedi. Questo causa in loro un’apatia tale che fa diventare praticamente impossibile trovare un’attività, una passione, o qualsiasi altra cosa per la quale valga la pena vivere senza limitarsi a sopravvivere.

Noi giovani, così annoiati e stanchi senza in realtà aver fatto nulla, dovremmo prendere esempio da Leopardi, proprio come consiglia D’Avenia nel suo libro, per trovare la nostra vocazione e poter dire, senza però esserne spaventati, “Io sono questo”.

Essendo quasi al capolinea della mia adolescenza, posso affermare che l’opera di Leopardi intitolata Zibaldone, in cui il poeta ha raccolto i suoi pensieri, è da considerarsi del tutto attuale soprattutto per quanto riguarda questo tema: l’essere umano non può vivere senza la felicità poiché così arriverebbe al suicidio, ma per essere felici sono necessarie delle occupazioni e, in particolar modo, delle speranze.

Vivere felicemente è un’arte che oggi ben poche persone sono in grado di cogliere e comprendere.

Considero me e i miei compagni di classe come l’esempio perfetto per dimostrare che le persone, e in particolare i giovani, oggi vivono senza alcuna aspettativa, e l’unica speranza a cui ci limitiamo è quella di non diventare dei totali falliti e di non andare a vivere sotto un ponte. Infatti, quel passaggio immediato che dall’essere praticamente ancora dei bambini ci porta a diventare adulti è formalmente rappresentato nella nostra società dall’esame di maturità, dopo il quale ogni ragazzo, ormai quasi ventenne, potrà iniziare a inserirsi nella vita vera, e nessuno si preoccuperà più di dirgli cosa è bene fare e cosa no. Io, che sto per compiere adesso questo passo, sono consapevole del fatto che il tempo passerà in fretta e a breve mi troverò di fronte a una scelta imminente senza poter più aspettare: “Cosa faccio del mio futuro? E se prendessi una strada sbagliata che non è la mia?”

Non ho mai avuto nessuna passione, nessuna occupazione a parte lo studio, e ben poche cose nella vita mi hanno resa felice e soddisfatta, ma la considerazione più preoccupante è data dal fatto che, come me, per la maggior parte dei miei coetanei è lo stesso.

Dunque, per evitare atteggiamenti autodistruttivi, effetto del vuoto esistenziale, sarebbe necessario insegnare ai bambini fin da piccoli quanto sia grande il valore della speranza e soprattutto della loro stessa vita, che non è inutile ma va resa significativa da ognuno di noi con le risorse che il mondo oggi ci offre e con ciò che ci rende felici.

 

Cara alunna,

non sono il bravo collega Alessandro D’Avenia, ma vorrei dirti ugualmente di non scoraggiarti. Non hai passioni, scrivi. Ma la lucidità con cui conduci l’analisi di una generazione intera, la tua, e la sincerità che hai manifestato in questi anni, ogni volta che ti è stato chiesto di prendere la penna e metterti a raccontare te stessa, sono di per sé delle caratteristiche non comuni, qualità rare tra gli adolescenti, per ovvie ragioni anagrafiche e di maturità personale, ma anche tra gli adulti. Forse non pratichi uno sport o non ti sei mai gettata anima e corpo in un corso di lingue. Ma sei intelligente. Hai fatto il tuo dovere per tredici anni di scuola. Tutto questo produrrà i suoi frutti, ne sono certo: nella tua professione futura, nei rapporti con i tuoi cari, in quella vita che ti accingi ad affrontare e che un po’ ti spaventa. Per te e per i tuoi compagni è vicino il momento di lasciare la scuola e bussare alla porta del mondo del lavoro. Non sarà facile, è vero. Ma non devi abbatterti, perché so che ti presenterai a quella porta con la tua timidezza, certo, ma anche con determinazione e con gli strumenti di cui ti sei dotata in questi anni di studio. Pensi che siano in tanti a uscire da un istituto professionale, come quello che hai frequentato, sapendo scrivere come sai fare tu?

So anche che hai già conosciuto la sofferenza, come del resto molti dei tuoi compagni. La vita vi ha dato tanto, sottolinei giustamente, ma (aggiungo io) vi ha rifilato anche qualche batosta non da poco: gravi problemi di salute, oppure situazioni dolorose in ambito familiare, dove siamo tutti inermi, dove ci aspetteremmo di trovare naturalmente accoglienza e sostegno, e invece… Non è quanto scrivi a proposito dell’adolescenza di Leopardi? Niente di nuovo sotto il sole! Ma anche in questo caso vorrei dirti che la vita non ti infliggerà sempre e solo delle legnate. Su questo punto non sono affatto d’accordo con la desolata visione leopardiana (quella espressa, per esempio, nel Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere). Verranno momenti duri, senz’altro, ma anche momenti belli, che varrà la pena di vivere e a cui, una volta trascorsi, guarderemo con nostalgia, ognuno secondo il suo essere e il suo sentire: l’estate del viaggio a Parigi, quella festa durante la quale abbiamo conosciuto nostra moglie (o nostro marito), il giorno che ci è nato un figlio, l’anno in cui la Samp (o il Genoa) ha vinto lo scudetto… Sono un po’ più vecchio di te (non di tanto, non esageriamo), e questi periodi di gioia, di serenità, di grazia, pur in un mare di difficoltà, li ho sperimentati: esistono!

Per cui, carissima, sforzati sempre, nonostante tutto, di mettere in pratica quanto suggerisci concludendo le tue riflessioni: rendi significativo ogni giorno, vivendolo con impegno (e un pizzico di umorismo!), e mantieni viva la speranza.

Con affetto

il tuo professore